
Ovvero come muoversi tra paramita e buddismo secolare
Viviamo in una terra che si sta desertificando: il cambiamento climatico porta aree disseccate sempre più vaste. Non si sta desertificando solo la nostra terra ma anche la nostra anima. Un’anima che si desertifica quando si allontana dalle sue qualità per entrare in quella che viene chiamata “la mente di povertà”. Inizia qui Stefano Bettera, con il suo libro “Fai la cosa giusta” con la mente di povertà: grande ouverture devo dire.
La mente di povertà è una mente che costruisce narrazioni rassicuranti, una mente che include solo quello che la fa stare momentaneamente bene, sentire bene, sentire al sicuro. Una sicurezza fittizia che nasce dal mettere fuori la vulnerabilità, il susseguirsi inevitabile dei cambiamenti. È una mente che lascia spazio alla paura e che esprime e realizza la spinta a fuggire. Una mente che porta separazione tra noi e ciò che ci spaventa. È una mente che allontana da ciò che, invece, avrebbe bisogno della nostra cura e della nostra attenzione. È una mente che ospita un cuore irrigidito, freddo e sterile, un cuore che si tira indietro e che non vuole ascoltare la chiamata del mondo. Coltivare la mente di povertà – dice Stefano Bettera – significa aumentare la separazione tra le diverse parti di noi e anche verso il mondo esterno.
[box] Avete udito che è bello vincere? Ma io vi dico anche che è bello cadere – le battaglie si perdono con lo stesso spirito con cui si vincono. Walt Whitman[/box]
Il demone dell’aridità
Nella tradizione buddista Mara è un demone che – un po’ come Satana aveva tentato Gesù nel deserto – tenta il Buddha sulla via dell’illuminazione. Lo tenta con la Brama, la Passione e la Noia. Tre tentazioni che desertificano la nostra anima. Non si tratta però di lottare contro questo demone e le sue tentazioni: l’aridità è parte della nostra esperienza umana. Si tratta di sapere, di riconoscere la sua presenza e di riconoscere che le nostre qualità migliori rimangono non intaccate da questa aridità. Accanto alla nostra aridità dimora un campo coltivato dalle qualità che risvegliano la nostra natura migliore. È di queste qualità che parla Stefano quando ci invita a fare la cosa giusta. La cosa giusta non è combattere ma coltivare. La cosa giusta è riconoscere che la mente di povertà è sempre pronta a spingerci verso azioni che, alla lunga, ci rendono più tristi e disperati mentre la vera alternativa è coltivare le sei Paramita o perfezioni. Quali sono? Stefano sceglie 6 Paramita, come nella tradizione del buddismo tibetano. Mentre nella tradizione Theravada le paramita sono 10 e di queste fa parte l’equanimità che è il tema della nostra settimana. Le sei Paramita a cui Stefano dedica un capitolo e una pratica sono la generosità, l’azione etica, l’accettazione (sorella siamese dell’equanimità), l’entusiasmo inteso come vigore, la concentrazione intesa come meditazione e la saggezza che Stefano presenta affrontando alcuni dei malintesi più diffusi rispetto alla pratica.
È un vero viaggio in cui ogni capitolo è una tappa che presenta la successiva.
Dare struttura
Il libro ha una struttura ripetuta che è cara e rassicurante come la tazza di tisana calda da bere alla sera per disporsi alla lettura. Questa struttura è una delle cose che mi è piaciuta di più e che mi ha permesso di entrare meglio nella mente di chi scrive. Un po’ come quando entri in una libreria e capisci che chi la gestisce conosce ogni libro posto sugli scaffali e ti invita a fermarti per accarezzarli un po’ tutti. La struttura che Stefano ha dato è la seguente: inizia raccontando una storia che illustra ognuna di queste qualità. Poi approfondisce questo argomento nell’ottica buddista con citazioni colte ma mai noiose (Stefano è Vice presidente dell’Associazione Buddista Europea che non so esattamente cosa voglia dire però a me fa un po’ impressione!) e conclude con una pratica senza file audio e un anello di congiunzione al capitolo successivo. Questo fa sì che ogni capitolo sia leggibile individualmente ma la lettura continuativa del libro è gradevole. Come gradevole è la scelta di dare una struttura scritta della pratica di meditazione ma non un file audio: un invito implicito a cercare la propria voce. Le meditazioni suggerite sono veramente belle: Trovare la capacità di perdonarsi; La meditazione del tramonto; La meditazione della montagna; La meditazione del proteggere la gioia (che ha uno sviluppo su più settimane); La meditazione del fiore e La meditazione del ponte.
La meditazione del Tramonto credo che sarà la mia meditazione delle vacanze di Natale e mi ha ricordato una frase di Thoreau che cita spesso Jon Kabat Zinn
Il tempo non è che il ruscello dove vado a pesca. Vi bevo; me mentre bevo ne scorgo il fondo sabbioso e vedo come sia poco profondo. La sua corrente scorre via ma l’eternità resta. Vorrei bere profondamente e pescare nel cielo, il cui fondo è ciottoloso di stelle. Thoreau
La cura è una scelta etica
Il secondo consiglio è il perno su cui ruota il libro: come fare una scelta giusta, una scelta etica? Come rispondere alle incertezze che ci troviamo di fronte quando dobbiamo decidere la nostra direzione? E qui, risponde Stefano, siamo chiamati all’etica della guarigione. Un’etica che si fonda sulla nostra capacità di guarire noi stessi e che prosegue nel momento in cui sappiamo metterci nei panni di chi ci sta di fronte. Passare dall’etica del giusto e dello sbagliato all’etica della guarigione è la vera rivoluzione del buddismo secolare e disegna un percorso inclusivo di noi e dell’altro, della realtà e delle sue necessità
Se seguiamo ciò che l’insegnamento buddista ci suggerisce, (l’etica) non è solo la figlia del ragionamento. Il dibattito tra giusto e sbagliato ci porta sempre ad un punto morto. Spesso la risposta la sentiamo così impellente che non ci lascia alternativa. È come se il nostro corpo, il nostro istinto ci dicesse cosa fare…Ed ecco perché il rimando al corpo, all’attenzione a ciò che è il vissuto del corpo nel singolo momento: ogni momento è unico e irripetibile e il corpo ce lo insegna. Stefano Bettera
Per fare una scelta etica quindi abbiamo bisogno di sentirla nel corpo, di fare riferimento al bene comune, in sintonia con la mente della generosità. La scelta etica è una scelta che splende dall’interno, una scelta che rispetta il processo del divenire e che diventa essa stessa processo. L’etica diventa così questione di vita quotidiana, minuscola, questione di ogni momento in cui possiamo scegliere se rifugiarci nella mente di povertà o di fiorire. La cura diventa il centro: appamada, un’impronta così grande da contenere tutto, perchè qualsiasi virtù è compresa nell’atteggiamento di cura e la mancanza di cura diventa aridità in qualsiasi situazione. A-pammada significa avere una condotta non inebriata, una condotta lucida che è quella che dovremmo tenere per un’etica della guarigione. Il cemento dell’etica della guarigione? La compassione per la sofferenza umana, nostra e altrui
Nella vita c’è sofferenza: che fare?
La prima delle Nobili Verità del Buddismo suscita spesso dibattito tra i traduttori e gli interpreti. La vita è sofferenza potrebbe diventare Nella vita c’è sofferenza (ma non solo). Nel libro diventa “nella vita c’è sofferenza: che fare? Stefano Bettera su questo aspetto è deciso “La vita è sofferenza” rientra tra le sette cose che il Buddha non disse mai. La prima Nobile Verità elenca le fonti della sofferenza che corrispondono ai cinque aggregati ma non considera solo questo aspetto, anzi la vita non è tra le cause della sofferenza perchè abbiamo la possibilità di essere liberi dalla sofferenza e la pratica ci offre una strada in questa direzione. Soffriamo perché ci identifichiamo con le cose che cambiano e, addirittura, la nostra mente di povertà ci fa credere che esistano cose che sono immutabili e certe. Quando la mente è abbastanza forte da non aver bisogno di identificarsi con niente, allora non c’è più sofferenza. Insomma non siamo condannati alla sofferenza ed è utile spezzare questo binomio vita=sofferenza. Un equivoco alimentato dalla traduzione del termine pali – dukkha – con sofferenza. Dukkha è disagio e indica uno stato di inadeguatezza per come funziona la vita e sta a noi creare le condizioni per una società etica e una economia etica.
Il buddismo secolare
Forse l’origine dell’approccio di Stefano Bettera può essere rintracciato nella via indicata da Thích Nhất Hạnh (La meditazione del fiore è una delle meditazioni di Thích Nhất Hạnh) e Stephen Batchelor: un buddismo impegnato che si occupa attivamente della realtà circostante e della necessità di costruire comunità etiche. In questo senso il Buddhismo è una forma di pratica, di pensiero libero e di ricerca che non è proprietà dei ‘buddhisti’ ma di ogni uomo saggio. Allora come oggi, come domani. Le sei Paramita, a cui è dedicato il libro, diventano così strumenti di processo per impostare la propria pratica. Modelli lontani dalla prescrizione di regole di comportamento ma anche lontani da una affiliazione religiosa: non si rivolgono ai buddisti ma alle persone di buona volontà (Aḍḍhiṭhana). Paramita significa andare sull’altra riva ossia uscire dalla riva della confusione per andare alla riva della saggezza a cui è dedicato il sesto consiglio. Per attraversare questo fiume abbiamo bisogno di una zattera: la pratica delle sei Paramita ci offre questa zattera e crea le condizioni perché la nostra pratica sia più salda e condivisa. Non ci isolano dal mondo – come erroneamente si pensa faccia la meditazione – ma ci mettono di fronte alla nostra responsabilità umana e sociale. Sono perfezioni ma non perfezionismi perché non invitano a conformarsi a nessun ideale: invitano ad imparare da qualsiasi esperienza e a lasciarla andare nello stesso tempo, senza aggrapparsi a niente di statico in una vita in continuo cambiamento. Sono rami di un albero che si intrecciano tra di loro e fioriscono reciprocamente ma proprio come alberi vanno coltivate. Non possiamo pensare che basti piantare un seme perché diventi un albero. Però piantare un seme è necessario: dopo servono le azioni adeguate. E le azioni adeguate sono azioni dell’etica della cura, dell’etica della guarigione, nostra e del mondo.
© Nicoletta Cinotti 2018
Una anticipazione
Stefano Bettera sarà nostro ospite il 22 Marzo 2019 (Save the Date) a Genova per festeggiare insieme la giornata internazionale della felicità con un incontro dal titolo “Fai la cosa giusta: sii felice”