
Faresti entrare chiunque in casa? Permetteresti che una folla indisciplinata entra ed esca dalla tua casa senza suonare il campanello semplicemente perché hai la porta aperta? Non credo. Ti sentiresti invaso e inizieresti a riportare ordine lasciando dentro casa solo i tuoi ospiti graditi, invitando gli altri a uscire.
Quando siamo distratti facciamo entrare nella nostra casa – che è la nostra mente – qualsiasi cosa, semplicemente perché lasciamo la porta aperta. Ci sembra che sia un modo per rilassarsi e invece è un modo per “lasciarsi andare” nella corrente.
L’attenzione è come la porta di casa: se siamo molto concentrati è una porta chiusa a chiave in cui non entra niente dall’esterno. Se siamo accessibili è una porta dotata di campanello: suonano, chiediamo chi è e decidiamo se far entrare qualcuno oppure no.
L’effetto della distrazione, del lasciar entrare qualsiasi persona è che molto velocemente ci ritroviamo invasi non solo dai pensieri ma da una spiacevole sensazione, perché la distrazione fa venire a galla il nostro umore più basso, quello più nutrito di preoccupazioni. Non tutte le preoccupazioni sono reali: molte vengono a galla proprio perché facciamo entrare qualsiasi cosa nella nostra casa.
Proprio come controlliamo chi entra nella nostra casa reale abbiamo bisogno di essere consapevoli di chi entra nella nostra mente per non permettere alla casualità di fare man bassa della nostra attenzione. Così possiamo volutamente passare, ogni tanto, qualche momento in uno stato di attenzione concentrata – focalizzandoci solo sul respiro – e poi riaprire la porta lasciando che la nostra attenzione sia in relazione con l’ambiente circostante. In questo modo possiamo scoprire che il primo passo della mindfulness – essere presenti – non è altro che quello stato in cui la nostra attenzione è attirata da un oggetto e lo esploriamo con interesse e curiosità. E, ogni tanto, quell’oggetto potremmo essere proprio noi. Può darsi che questo portare l’attenzione a noi stessi non abbia particolari effetti. Che semplicemente ci faccia riposare. Anche questo sarebbe un buon effetto! Possiamo anche scoprire però che, facendo così, ogni tanto, sorgono, spontanee, delle riflessioni su di noi. Perché la riflessione è una qualità particolare di pensiero, diversa dall’affollarsi della proliferazione mentale. Nasce dall’ascolto e lascia una sorpresa perché ci porta sempre un sapore nuovo.
Dopo qualche tempo, nella vostra meditazione formale potrebbe insinuarsi una potente qualità, in sanscrito sukha, che viene tradotto più frequentemente con beatitudine, serenità e felicità. Per me la traduzione di sukha è quella più tecnica, gioia non attiva: sukha è un genere di gioia che non richiede energia. Chade-Meng Tan
Pratica di mindfulness: Spazio di respiro di tre minuti
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri
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