
Gestire la distrazione
C’è un tema che mi sta molto a cuore: la distrazione. Medito, eppure continuo a distrarmi, com’è possibile? Quando si parla di distrazione ci sono moltissimi elementi da tenere a mente. Se si vuole imparare a dedicare più tempo alla propria pratica personale, o magari semplicemente ad essere più focalizzati, qui potreste trovare informazioni utili: ma non sono utili perché ve le dico io, lo sono perché si basano sulla pratica di consapevolezza.
Possiamo distrarci perché l’attenzione si frammenta su tantissimi stimoli diversi. Possiamo distrarci perché l’intenzione di fondo che sostiene quello che stiamo facendo non è forte abbastanza, o non è chiaramente consapevole. Possiamo distrarci anche perché è una nostra risposta automatica a uno stimolo spiacevole che cerchiamo di evitare o rimandare.
Prendiamo un esempio: la distrazione causata da internet. Giochini, giochetti, device, social network, youtube, mail, smartphone. Con l’accesso ad internet si apre un universo. Bastano pochi click, pochi tap con le dita, e possiamo subito avere a portata un contenuto che ci distrae e ci fa provare una dose momentanea ed impermanente di piacere.
Dovrei fare “quella roba là”, non noto l’ansia ed il disagio, lo sforzo che mi sarebbe richiesto, e subito mi ritrovo distratto altrove, su un social, a “scrollare” giù per la bacheca in cerca di qualcosa di appetitoso, in cerca di qualcosa che possa tappare quella sensazione spiacevole che ho evitato. Rende l’idea?
Riconoscere quando accade
Spesso capita di rendersi conto di perder del tempo, in misura diversa, e anche di giudicarsi – più o meno aspramente – a seconda dei casi. Guardiamo questa dinamica dal punto di vista della pratica di mindfulness. Impariamo semplicemente a riconoscere quando ci succede – di distrarci – lasciando il giudizio in sospeso. Non perché, non perdiamo neanche tempo su quanto avremmo potuto rendere se non ci fossimo distratti, diamo semplicemente spazio all’osservazione in sé.
La distrazione è una bestia furtiva come la vecchiaia. Arriva senza farsi notare. Quello che può aiutarci a gestirla, che può ridurre lo stress causato da una mente costantemente dispersa e fluttuante, è proprio la pratica di consapevolezza. Incominciamo dalle cose facili, dare consapevolezza a cosa accade prima della distrazione. Le prime volte potremmo semplicemente ritrovarci, mezz’ora dopo, a guardare facebook. Dopo un po’, però, potremmo scoprire che il tutto si è innescato a seguito di una sensazione d’ansia. Cosa va a coprire la distrazione? Che sensazioni comporta nel corpo mente quest’elemento che andiamo ad evitare?
Quanto tempo impiego nella distrazione? Quanti siti visito? Che sensazioni ci sono nel corpo, mentre mi distolgo da quello che stavo facendo? O quanto spesso guardo il cellulare, quanto tempo spendo davanti ad un device e via così. Ci sono moltissime domande che possiamo porci per stimolare la nostra attenzione.
Potremmo anche inventarci una strategia: fare un puntino su un foglio di carta ogni volta che l’attenzione si stacca per fare altro. Facciamolo non per obbligarci a rimanere, ma per riportare consapevolezza al momento, per distrarci – nel caso – sapendo chiaramente di farlo.
Vedere cosa succede
Una volta presa dimestichezza con la natura delle proprie distrazioni, diventa anche molto più facile osservarle fino alla radice. Da dove saltano fuori? Che cos’è che le fa crescere?
Per me tante volte c’è l’idea di fondo di dover fare qualcosa alla perfezione: questo crea ansia, spreca un sacco di energie e talvolta invalida anche l’iniziativa che porta all’agire. Si instaurano sensazioni spiacevoli nel corpo e se non sono presente a quando succede, semplicemente non sono presente neanche per cogliermi nella distrazione. Svanisco per un po’.
Per qualcun altro potrebbe esser paura, o irritazione o x, y, z. L’attenzione naturalmente funziona come un radar, si muove. Non stupiamoci se la notiamo nel suo normale funzionamento, ma incuriosiamoci quando sembra esserci qualcosa di più.
Agire
Quando impariamo a conoscerci meglio e con interesse, includiamo anche i tratti di noi che solitamente giudichiamo di più. In questo spazio potrebbe esserci il lato di noi che si distrae, che si perde in un bicchier d’acqua. È solo arrivando a questa conoscenza intima che diventa possibile agire, semplicemente perché abbiamo anche imparato a conoscere su che cos’è che dovremmo agire. Impariamo, con la pratica, ad essere consapevoli.
Ci sono certe sensazioni che non mi piacciono? Ottimo, imparare a riconoscere come mi ci rapporto mi da solo strumenti in più. Scoprire qual è la reazione a queste sensazioni può aiutarmi ad essere più presente, a trovare strategie comportamentali alternative. Può letteralmente aiutarmi a nutrire ciò che voglio davvero nutrire e lasciar andare strategie che solo sul breve termine possono apparire efficaci, mentre sul lungo non fanno altro che portare insoddisfazione.
Ci può aiutare chiudere le schede del browser? Ottimo, chiudiamo quelle che non sono realmente necessarie. Ci distraiamo giocando? Lasciamo i dispositivi da un’altra parte. Usate la fantasia, perché non vale nulla un consiglio che non risuona nell’esperienza che fa la vostra pancia. Sarebbero solo parole che, senza emozione, porterebbero al massimo ad una ristrutturazione semantica sul modo di pensare. Al massimo.
Coltiviamo ciò che davvero è importante
Riconoscere le distrazioni è simile ad un lavoro di giardinaggio. Inconsapevoli, ci ritroviamo a tirar via erbacce a caso. Solo con la fortuna potremmo strappare quella giusta, ma molto probabilmente rimarrebbero le radici, o ci sarebbero semi da altre parti. Il comportamento continuerebbe ad essere presente, la nostra conoscenza sulla situazione andrebbe a rimanere invariata e si continuerebbe così, in un circolo vizioso.
Quando arriva la consapevolezza si impara a conoscere il meraviglioso panorama che abbiamo all’interno. Meraviglioso perché ricchissimo, e spesso sconosciuto, ancora da esplorare. Potremmo incontrare bellezze da custodire e piante tremende che sarebbe meglio non toccare neanche. Ma con la consapevolezza non facciamo un’opera di potatura a tappeto, bensì un’opera di conoscenza.
Impariamo a riconoscere quali strade della nostra mente sono più battute, quali percorsi portano a frutti salutari e quali invece, a frutti insalutari. Diventa anche più facile capire davvero che cos’è importante, che cosa vogliamo curare e custodire. Facciamo un lavoro delicato: non cerchiamo la via impossibile dello sradicamento di ogni seme e germoglio velenoso sulla faccia della terra. Saggiamente, riconosciamo e curiamo consci di quel che stiamo curando.
@Niccolò Gorgoni
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