
Molto recentemente ho fatto una piccola scoperta rispetto alla rabbia. In genere non sono facile all’ira ma quando mi fanno male posso avere una reazione rabbiosa che scatta quasi prima che ne possa essere consapevole. Questo non è strano perché la rabbia è un’emozione difensiva molto veloce.
La scoperta però non è questa. Mi sono accorta che quando mi arrabbio è come se la parte esterna di me diventasse dura, tonica (o iper tonica) per proteggere il nucleo interno, la parte che ha sofferto. Posso parlare direttamente a questo nucleo morbido senza pretendere che la durezza esterna si allenti. Posso saltare direttamente a quella parte interiore e chiederle di che cosa ha bisogno ma, soprattutto, di che cosa ha bisogno per essere felice. Così posso passare dalla rabbia ad un senso di apertura. La parte esterna si ammorbidisce e si rilassa. Questo avviene ogni volta che trovo le parole giuste per parlare a quel nucleo morbido e vulnerabile. Se provo a raggiungerlo dall’esterno, ammorbidendo la corazza, esercito molto più sforzo e intenzionalità. Le parole giuste invece mi permettono di fare un salto e andare al cuore del problema. Allora lì ho fatto la seconda scoperta, quella più intima.
Ho scoperto che quando qualcuno mi fa male si risveglia un vecchio, vecchissimo dubbio – sembra che sia un dubbio che molte persone hanno – sarà sincero l’amore che gli altri mi dichiarano? Sarà vero che mi amano? Sarò amabile e amata? Dubbi – bambini, che hanno il sapore delle ginocchia sbucciate, del pane e marmellata, della mamma arrabbiata. A volte la distanza tra la corazza esterna e questo nucleo interno morbido è così grande che possiamo rimanere sorpresi dalla differenza che c’è tra una parte e l’altra di noi. Feriti dalla differenza che c’è tra una parte e l’altra della persona che ci ha ferito. Siamo double-face non perché siamo menzogneri ma perché coesistono in noi luoghi diversi.
Sono passati così tanti anni dalla mia infanzia. Sono passati così tanti anni dalla nostra infanzia ma il nucleo morbido non invecchia mai. È quel nucleo morbido che fa chiamare la mamma negli ultimi respiri. Quello che fa tornare bambini quando si invecchia. Chissà perché rimane dentro di noi? Forse, mi sono detta, è li che torniamo ogni volta che si sveglia la mente del principiante. È lì che torniamo quando impariamo qualcosa. In quel luogo fuori dal tempo dove crescere non vuol dire invecchiare ma imparare. Forse quello è lo spazio dove coincidono tutti i nostri luoghi.
…per vedere se appaio ancora se appaio ancora
se riappariamo entrambi tenendoci per mano
nello spazio
dove coincidono
tutti i nostri luoghi. Oscar Hahn
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro oppure la meditazione delle 8 su Facebook
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves. Ritiro a Casa Cares
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