
Sabato 12 Ottobre, a Roma , presso l’Università Salesiana, ho tenuto uno speech al Convegno Internazionale “Mindfulness: competenza trasversale in psicoterapia e nelle relazioni di aiuto”. Ero in ottima compagna (clicca qui per vedere il programma) ed è stata per me l’occasione per una riflessione più approfondita su un tema implicito della mindfulness: stare nel momento presente e nelle sue potenzialità trasformative. Provo qui a riportare i punti salienti della mia riflessione.
Ogni tempesta ha un momento in cui può volare il silenzio
Ogni tempesta ha, come un ombelico, un vuoto nel suo centro, attraverso cui un gabbiano può volare in silenzio.
Riconoscere quello che avviene nel momento presente ha una forza che sorprende, tanto che a volte temiamo l’essere consapevoli come se nascondesse qualche segreto pericolo. Nel presente abbiamo la possibilità di riconoscere la verità delle circostanze attuali. Circostanze che includono il passato e danno una forma al nostro futuro.
Passato e presente in psicoterapia
Nella clinica psicodinamica, almeno fino agli anni ’90 del secolo scorso, il ruolo del passato era dominante, come dominante era la ricostruzione biografica intesa come passaggio riparativo dei traumi della nostra storia. Che cosa è successo con gli anni ’90? Le ricerche neuroscientifiche hanno dato un quadro più chiaro di come funziona la nostra memoria e hanno permesso di comprendere la diversa tipologia di risposte attivata dalla narrazione di una esperienza rispetto all’esperienza stessa.
Fino ai due anni d’età la nostra memoria è una memoria sensoriale, procedurale che non si avvale del registro linguistico. Dopo i due anni a questa memoria procedurale si aggiunge la memoria autobiografica che comporta la capacità di narrare un episodio e di costruire un senso del Sé sulla base delle esperienza che abbiamo vissuto. Questi due magazzini della memoria possono funzionare separatamente – come avviene per esempio nelle situazioni post-traumatiche oppure negli attacchi di panico – oppure in maniera integrata, come avviene in tutte quelle situazioni in cui una sensazione fisica riattiva una memoria alla quale sappiamo dare un significato.
Un esempio di non integrazione tra memoria sensoriale e memoria narrativa può essere un attacco di panico: il corpo mette in scena il terrore.Un terrore che ripete una scena primaria, che la mente non comprende e alla quale non sa dare significato.
Narrare un attacco di panico può essere molto intenso ma non corrisponde al vivere un attacco di panico: le risposte a livello neurofisiologico sono diverse (e per fortuna, direte voi!). Se narriamo si attivano le aree linguistiche; se riviviamo un’esperienza si attivano gli stessi circuiti che sono stati coinvolti primariamente nell’evento. La possibilità di riparare avviene quando è possibile una integrazione tra la memoria sensoriale e quella narrativa (ecco perché mi interessa scrivere la mente!) offrendo così la possibilità di riparare, in senso letterale, quello che è stato l’evento traumatico attraverso una integrazione – corporea e narrativa – dell’esperienza stessa.
In questo caso il momento presente è lo spazio stesso in cui si ri-attualizza il passato e si sviluppa la possibilità di attivare un reale processo di cambiamento.
Il momento presente non è né nel tempo né fuori dal tempo. Sant’Agostino
Integrare la memoria corporea e la memoria narrativa
Sia il magazzino della memoria procedurale che quello della memoria narrativa rimangono attivi e in relazione tra loro per tutto il corso della nostra vita. Questa integrazione si perde quando viviamo un’esperienza che supera la nostra finestra di tolleranza emotiva. Se, come dimostrano le ricerche neuro-scientifiche, è l’integrazione tra queste due memorie che attiva un processo di guarigione psichica – e questa integrazione può avvenire solo attraverso una esperienza vissuta in prima persona – il ruolo dello psicoterapeuta (e quello che succede nella stanza della psicoterapia) non è più solo fornire uno spazio per la narrazione ma offrire un luogo dove sperimentare, sperimentarsi, nel momento presente. Consapevoli che il presente è la somma del nostro passato: non è necessario scavare nella memoria autobiografica per ricostruirlo. Abbiamo uno specchio semplice ed essenziale: il nostro modo di entrare in relazione con l’esperienza racconta come canta il nostro passato nel presente.
Trovare strumenti esperenziali
Per questa ragione è centrale trovare strumenti esperenziali per ancorarsi al presente. Può essere la semplice attenzione al respiro della pratica mindfulness, oppure la possibilità di offrire strumenti di esplorazione della consapevolezza corporea durante le sedute di psicoterapia. O, meglio ancora, l’integrazione tra il lavoro corporeo e la pratica di mindfulness: in questo caso la mente trova dimora nel corpo.
Per noi spunta solo quel giorno al cui sorgere siamo svegli. Thoreau
Il cambiamento quindi non passa attraverso la consapevolezza narrativa ma attraverso la consapevolezza vissuta, percepita, sentita e integrata attraverso il registro narrativo.
Ma, allora, narrare e basta non serve? Raccontare cosa è successo non è inutile: fornisce sostegno emotivo, condivisione, scarica emozionale, sostegno relazionale ma non è sufficiente per dirigere le nostre azioni verso il cambiamento: l’esperienza del momento presente lo è.
Cos’è il momento presente?
Il momento presente è il momento d’esperienza soggettiva nell’atto del suo compiersi. Il kairos, il momento in cui qualcosa viene in essere. Daniel Stern, uno psicoanalista del Boston Change Process Study Group, nel suo ultimo libro, intitolato appunto, Il momento presente, lo definisce così:
- si manifesta durante un periodo ininterrotto di consapevolezza;
- non è il resoconto verbale di una esperienza ma l’esperienza stessa nel suo svolgersi;
- riguarda tutto ciò che percepiamo mentre viviamo;
- è di breve durata
- assolve una funzione psicologica: offre il significato della propria esistenza;
- è un fenomeno temporale dinamico;
- è imprevedibile e irripetibile;
- implica un senso di Sé e una posizione del Sé rispetto all’esperienza;
- non tutti i momenti presenti hanno la stessa importanza
- l’essere presenti richiede una sincronizzazione mente-corpo che può essere anche il semplice riconoscimento di quello che c’è.
Come mai temiamo lo stare nel presente?
Se stare nell’esperienza vissuta è tutta questa sorgente di benessere e cambiamento, come mai siamo sempre in fuga? Per due ragioni essenziali ,che si sommano alla mancanza di padronanza dell’attenzione che fa da base alla nostra difficoltà a rimanere presenti. La prima ragione è che l’attimo di presenza ci rende immortali e mortali insieme. Cogliamo il cambiamento in cui siamo inseriti. Il cambiamento di cui facciamo parte ma che non controlliamo: avviene. E questo può fare paura.
Inoltre ci rimanda la natura mutevole del nostro stesso Sé. Non c’è un Io, me, mio a cui aggrapparsi con certezza: c’è un divenire. C’è la forza del non sapere e non la certezza del conosciuto. Che fare quindi, oltre che praticare, per rimanere presenti nel quotidiano? Uscire dal pilota automatico ogni volta che possiamo; tenere in moto il corpo; scrivere la mente; gustare le piccole azioni quotidiane, come racconta magnificamente Pat Schneider nella sua Poesia “Istruzioni per il viaggio”
L’io che ti lasci alle spalle è una vecchia pelle
superata.
Non ti addolorare per questo.
Guarda al tuo Sé, nudo, crudo, bagnato, incompiuto
guarda a quello che stai diventando.
Anche il mondo fa la sua muta
tra politici, cataclismi, giorni ordinari.
È facile perdere questo momento
che si dispiega teneramente. Cercalo
come se fosse il primo filo d’erba dopo un lungo inverno.
Ascoltalo come se fosse il primo ragglo di luce
in un luogo dove l’alba è annunciata da campane.
E se tutto questo non funziona
lava i piatti.
Sciacquali dal sapone,
mettili sullo scolapiatti.
Rimani al lavandino della cucina
Lascia che l’acqua fredda scorra tra le dita.
Sentila.
Pat Schneider
© Nicoletta Cinotti 2019