
È importante saper dare un nome a quello che ci succede. Sapere come si chiama e che cosa vuol dire riduce il nostro senso di disagio e la nostra ansia strutturale. Però poi questo nome non va considerato una lapide, qualcosa che rimane ad imperitura memoria. Non siamo la nostra ansia, la nostra depressione, non siamo i nostri disturbi fisici o emotivi. Siamo molto di più e il rischio che corriamo è quello di identificarci nei nostri sintomi e lasciare che siano i nostri sintomi quelli che danno una dimensione alla nostra vita.
In realtà quando ci identifichiamo con il dolore facciamo un rimpicciolimento: per contenerlo rimpiccioliamo la possibilità della gioia. Così proviamo a fare una piccola magia. Trasformiamo il nome del problema – che sia un nemico interno o esterno poco importa – in un verbo che abbia tutte le possibilità di cambiamento. Io ne ho trovato uno che mi piace tantissimo. Quando sto male dico che sono nello storming, ossia sono nella presa d’assalto, nell’infuriare della tempesta ma so che, dopo lo storming, arriva la pace. So che lo storming è solo una fase che agita per arrivare alla schiarita. Certo, se dico al collega che sono nello storming o che un mio paziente è nello storming mi guarda come se fossi matta ma, dentro di me, uso sempre questo nome per ricordarmi che qualunque tempesta passa e dopo la tempesta c’è il sereno.
Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. William Shakespeare, La tempesta
Pratica di mindfulness: Piacevole, spiacevole e neutro
© Nicoletta Cinotti 2022 Mindfulness ed emozioni