
La morte della signora Scimpanzè si colloca nel dicembre del 1878, nello zoo di Philadelphia, solo due anni dopo la pubblicazione del libro di Charles Darwin “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”. Fu una morte che destò curiosità per la reazione del suo consorte, un maschio di scimpanzé che viveva insieme a lei nella stessa gabbia dello stesso zoo. In quel momento negli Stati uniti c’erano solo 4 esemplari di scimpanzé e il loro comportamento non era mai stato osservato tanto da vicino.
Nei giorni che precedettero la sua morte il compagno non l’aveva abbandonata nemmeno un attimo. Le era rimasto accanto e la sua morte fu accompagnata dai suoi lamenti e dalle sue “lacrime”. Un lutto che si protrasse anche nelle settimane successive quando lo scimpanzé si ritrovò da solo, con la faccia rivolta verso il muro e la schiena verso i visitatori, spettatori inopportuni del suo dolore.
Philadelphia scoprì con stupore quanto poteva essere forte il legame tra due animali, nostri progenitori, e quanto poteva incidere sul successivo comportamento sociale.
La solitudine è una invenzione recente
Nelle culture primitive l’isolamento sociale era un vero e proprio fattore di rischio per la sopravvivenza. La vita in gruppo era essenziale alla sussistenza di tutta la comunità e i ruoli ben differenziati. Le madri riuscivano ad allevare la prole nei momenti in cui gli uomini si allontanavano per la caccia, grazie alla presenza delle altre donne della comunità – nonne, zie, membri anziani – che contribuivano alla raccolta delle verdure, meno nutrienti dal punto di vista calorico ma necessarie al sostentamento del gruppo nel lungo periodo di assenza dei cacciatori. Questo spiega la lunga sopravvivenza femminile anche dopo la fine dell’età fertile. Eravamo importanti nella raccolta e successivamente nella coltivazione dei prodotti vegetali e contribuivamo con il nostro lavoro al nutrimento del clan o della piccola struttura della comunità.
Essere estromessi dalla comunità avveniva solo per ragioni estremamente gravi, ben consapevoli che questo comportava la morte. La solitudine è, in questo senso, una invenzione recente, strettamente legata alla possibilità di disporre di una sufficiente indipendenza economica che garantisca i propri bisogni minimi di sopravvivenza.
La solitudine e la spiritualità
Con il monachesimo nella cultura occidentale l’esperienza della solitudine diventa associata alla ricerca spirituale. La solitudine come condizione necessaria per l’incontro con sé stessi e come luogo d’elezione dell’incontro con Dio. Enzo Bianchi,, Priore della Comunità di Bose – una comunità inter-religiosa – definisce la solitudine come “equilibrio e armonia, forza e saldezza. Chi assume la solitudine è colui che mostra il coraggio di guardare in faccia sé stesso, di riconoscere e accettare come proprio compito quello di “divenire se stesso”; è l’uomo umile che vede nella propria unicità il compito che lui e solo lui può realizzare”.
Preserva la tua solitudine. Se mai verrà il giorno in cui ti sarà dato un vero affetto, non ci sarà contrasto fra la solitudine interiore e l’amicizia. Simone Weil
In oriente la solitudine è rinuncia, rinuncia ai beni materiali e terreni per ottenere il risveglio e l’illuminazione. Sarà Gautama Buddha che per correrà “la via di mezzo” indicando che non è la severità della rinuncia ascetica quella che garantisce l’illuminazione ma, piuttosto, è la capacità di conoscere la propria mente che ci garantisce il risveglio.
Le famiglie uni-personali
A partire dal secolo scorso abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione dei nuclei familiari in tutta la cultura occidentale. Negli Stati Uniti 1 persona su 4 vive sola mentre in Italia siamo passati nella composizione dei nuclei familiari da 2,7 persone del 1995 al 2,4 del 2019. Ma il vero cambiamento sono le famiglie uni-personali che sono passate dal 21,1% al 31,4% del 2016. Fuga dal matrimonio, separazioni in aumento, mortalità più alta della media registrata negli ultimi tempi, una nuova mobilità di italiani e di stranieri che, almeno inizialmente, vivono da soli. E la semplificazione familiare è compiuta. La quota più alta di famiglie uni-personali al Centro: il 34,2 per cento del totale; la Liguria (40,2 per cento), la Valle d’Aosta (39,8), il Lazio (38).
Nel 2015 le famiglie uni-personali sono state 7 milioni 910 mila, circa il 40% rappresentato da vedovi e, soprattutto, da vedove: 3 milioni 162 mila persone, sono i dati che riporta l’Istat. La restante percentuale sono persone che non sono mai state sposate. Oltre 3 milioni di persone per le quali l’esperienza di vivere da soli può rappresentare una fase della vita. Ci sono poi le persone che hanno interrotto una relazione coniugale: un milione e 699 mila. La famiglia uni-personale è una possibilità sempre più frequente e sempre più impegnativa economicamente.
[box] Vuoi misurare il tuo senso di isolamento?L’università della California ha costruito un test proprio per misurare il senso di isolamento sociale. Self_Measures_for_Loneliness_and_Interpersonal_Problems_VERSION_3_UCLA_LONELINESS(Clicca per scaricarlo. Il test è pensato per la ricerca sociale)[/box]
La solitudine al tempo del COVID-19
Malgrado questa progressiva tendenza alla solitudine uno degli elementi più difficili della quarantena è proprio l’isolamento sociale. Noi siamo animali sociali e regoliamo le nostre relazioni attraverso la possibilità di modulare distanza e vicinanza, intimità e distacco. La quarantena interferisce proprio su questo aspetto: ci costringe a stare troppo vicini o troppo lontani. In ogni caso non abbiamo la possibilità di regolare liberamente distanza e vicinanza e, inoltre, l’altro anziché essere fonte di conforto e sostegno, diventa una potenziale fonte di pericolo. Questo inverte un codice filogenetico importante: ci salviamo sempre insieme eppure adesso stare insieme è pericoloso.
Credo che sia proprio la nostra tendenza ad essere animali sociali che ha reso così difficile comprendere la pericolosità del fenomeno contagio e che può rendere potenzialmente molto difficile l’esperienza della quarantena: ci viene chiesto di stare lontani dalle persone che amiamo. Ci viene chiesto di non visitare gli ammalati, di non frequentare i genitori anziani, di non entrare nelle case di riposo. Quali danni produce questo isolamento forzato sul nostro sistema immunitario?
La solitudine e il sistema immunitario
Forse ti chiederai cosa c’entra la solitudine con il sistema immunitario ma già da molti anni la solitudine non scelta – vissuta come condizione ineliminabile di vita – è stata messa in relazione con una immunodepressione. La solitudine stimola il segnale di stress “attacco” o “fuga”, un segnale di allarme che ha riflessi sulla produzione dei globuli bianchi del sangue. Da questo deriva una risposta immunitaria meno efficace a fronte di un aumentato livello di infiammazione. Si indebolisce in particolare la protezione contro batteri e virus, come afferma una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences. Ma attenzione: non si parla qui di quanti la solitudine se la sono cercata, la desiderano, ma di chi la subisce, anche per ragioni legate alla quarantena. In questa ricerca la solitudine è fattore che favorisce una aumentata espressione dei geni coinvolti nell’infiammazione e una ridotta espressione nei geni coinvolti nella risposta antivirale e antibatterica. Quel che manca in questo studio è l’analisi del vissuto. Perché, come abbiamo visto, ci sono due solitudini ben diverse. Quella scelta e desiderata e quella, invece, subita. La differenza tra le due solitudini è rilevante.
Il sostegno sociale in tempi di quarantena
Se ami la solitudine forse questo periodo di quarantena è una specie di condizione prolungata che ti assicura di sentirti a posto con la tua scarsa propensione verso la socialità. in ogni caso la riduzione di contatto sociale che stiamo vivendo è rilevante per tutti e non va sottovalutata. Partecipare a dei gruppi online, fare dei webinar, mettersi in condizioni di avere aperitivi virtuali, cene con videochiamate possono essere modi creativi e divertenti per ristabilire la padronanza sui nostri movimenti di avvicinamento e distanziamento. Rimaniamo animali sociali: includi dei momenti di socialità sia se vivi da solo sia se vivi in coppia. Essere animali sociali significa varcare la soglia del numero due!
Se invece ti ritrovi in una improvvisa e continua convivenza familiare è facile che si inneschino reazioni di competizione rispetto agli spazi personali e reazioni di competizione rispetto alla modalità di gestione del rapporto genitoriale con i figli. Questo è il momento giusto per osservare che cosa nello stile genitoriale dell’altro ci mette in difficoltà piuttosto che predicare sulla necessità che i genitori si presentino come un blocco monolitico compatto. È tutto da dimostrare che sia utile pensarla nello stesso modo e avere lo stesso stile. I figli imparano a conoscerci anche attraverso le sfumature del contatto relazionale. Permettiti quindi di essere te stesso e di guardare con precisione e gentilezza a quello che ti dà fastidio dello stile dell’altro. Potresti scoprire che ci sono più modi di fare il genitore di quelli che ritenevi giusti.
I gruppi di pratica
Nella tradizione meditativa i gruppi di pratica sono importanti. Sappiamo che abbiamo bisogno di praticare da soli ma sappiamo anche quanto è necessaria la presenza del gruppo degli altri praticanti. Praticare insieme garantisce un maggior equilibrio e una migliore energia e l’ideale è alternare situazioni in cui pratichiamo da soli con situazioni in cui pratichiamo in gruppo.
Ogni mattina alle 8, fino alla fine della quarantena (quando finirà? Chi lo sa?) ci sarà una pratica guidata su zoom. Registrati solo se intendi partecipare con una qualche regolarità seguendo questo link (clicca sulle parole in grassetto) Per farlo devi aver scaricato l’applicazione di Zoom e dopo aver inviato la richiesta devi ricevere la mia approvazione. Fallo solo se pensi di partecipare con una frequenza di 2/3 volte a settimana. Altrimenti puoi usare le pratiche presenti sul Canale YouTube: come vedrai dai numeri, anche quello è un gruppo di pratica! Infine ogni lunedì mattina alle 8.30 sulla mia pagina FB, una pratica live. Perché preferiamo le pratiche live rispetto a quelle registrate? Proprio perché siamo animali sociali la pratica live ci permette di sentirci insieme, presenti nello stesso momento.
Ti prego di considerare quanto questo aspetto di socialità sia importante per la nostra salute emotiva e fisica. A volte ci sembra di stare bene da soli ma non dimenticare che il livello di solitudine che stiamo affrontando adesso non è mai stato vissuto prima. Cura la compagnia: previeni la depressione post-quarantena!
Infine, per chi si iscrive al ritiro di Settembre “Reparenting ourselves” c’è la possibilità di partecipare ad un seminario mensile online di circa due ore con me e Susan Bögels. Per l’iscrizione è necessario l’invio della caparra confirmatoria.
Concludo con le parole di Paul Auster “L’invenzione della solitudine”
Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere, e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un individuo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un uomo solo è seduto in una stanza e scrive. Che parli di isolamento o di compagnia, di amicizia, il libro è necessariamente generato da una solitudine.
Così anche queste mie parole sono generate dalla solitudine. Una solitudine fertile e creativa che mi è necessaria per parlarti. Rivendichiamo solo il diritto a scegliere quando stare soli e quando gustare la compagnia, in questo momento virtuale, dell’altro. La solitudine l’abbiamo inventata per diventare pienamente noi stessi, non per isolarci.
con affetto Nicoletta
© Nicoletta Cinotti 2020