
C’è un momento – un momento che può essere benedetto – in cui prendiamo atto di avere un problema. A quel punto succedono cose strane. I procrastinatori ne prendono atto e iniziano una lunga rotta di allontanamento. Il problema c’è, qualche volta lo vedono. Altre volte no. In ogni caso potrebbe sempre sparire da solo – cosa che è anche vera – e iniziano a giocare a rimpiattino con quell’aspetto fino a che la situazione non diventa esplosiva. Se non diventa esplosiva proseguono come se il problema non ci fosse, rinfrancati dal fatto che tutto sommato le cose vanno avanti lo stesso.
Poi ci sono gli interventisti. Sono chirurgici. Non hanno ancora messo a fuoco qual è il problema che già iniziano a cercare soluzioni. Anche prima di aver capito di che cosa si stratta. Agiscono con la determinazione di un generale in battaglia, indipendentemente dalla difficoltà sono rapidi e tempestivi e rincorrono soluzioni che, se non funzionano subito, vengono abbandonate per passare velocemente alle soluzioni successive. In genere per loro anche le soluzioni devono funzionare subito, sennò ne cercano un’altra.
Poi ci sono i mindful, quelli che sono convinti che scoprire la qualità del problema, della difficoltà, esplorarla e conoscerla sia il modo migliore per capire se e cosa fare. All’apparenza possono sembrare procrastinatori ma non lo sono per una ragione fondamentale: i procrastinatori evitano l’argomento mentre i mindful ci si immergono dentro per conoscerlo a fondo, per sapere di cosa è fatto. Però non passano subito alla ricerca di soluzioni. Perché non tutti i problemi hanno soluzioni ma soprattutto perché sanno che prendere consapevolezza di una difficoltà ed esplorarla attiva già un processo di cambiamento autoregolato. Non vanno a scavare sul perché e percome questa cosa è accaduta, come fanno invece i rimuginatori. Vanno ad aprire, a rendere consapevole, a scoprire se ci sono modi in cui rimangono aggrappati ai problemi (sì, perché per quanto possa sembrare strano a volte i nostri problemi ci fanno compagnia e li lasciamo andare con difficoltà).
C’è una distinzione che, ho letto, faceva Salinger in una conversazione con suo figlio. Diceva: “Quella persona è saggia o è intelligente?”. Perché essere intelligenti non dipende da noi ma dalla genetica e dalle circostanze di cultura ed educazione in cui siamo nati. Tutti però possiamo diventare saggi, indipendentemente da queste circostanze, e la saggezza si misura proprio di fronte alle difficoltà.
Adesso, per essere chirurgici, verrebbe da dire, chi ha ragione? Qual è la cosa migliore da fare? E io invece ti rispondo, per essere mindful, quale di questi modi ti appartiene?
Potreste essere tentati di rifuggire la confusione del quotidiano per la serenità della quiete e della pace. Naturalmente si tratterebbe di eccessiva propensione per la tranquillità e, al pari di ogni forte attaccamento, sarebbe fonte di delusione. Bloccherebbe lo sviluppo e comprometterebbe la ricerca di saggezza. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: Il Body Scan
© Nicoletta Cinotti 2019 Lasciar andare e non rimuginare
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Le persone mi domandano dove ho comprato i miei cuscini perché li trovano comodi. Sono Zafu di pula di grano (niente kapok più costoso e che finisce per diventare troppo schiacciato). Vanno usati in modalità zazen, cioè a ruota e non come si usano di solito i cuscini da meditazione yoga.
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