
Assaporare la vita
Forse essere a casa non è un luogo ma semplicemente una condizione irrevocabile. J. Baldwin
Nella vita però si mescolano il buono e il cattivo, il dolce e l’amaro. Questa non è una novità e sicuramente ce ne siamo già accorti. il bello è che questo mix non necessariamente deriva da difficoltà esterne. A volte è il nostro modo di affrontare la vita che ci toglie quella serenità che diciamo di cercare a parole ma dimentichiamo nei fatti. Così vorrei mettere a fuoco come possiamo coltivare la serenità nella vita quotidiana, anche nel mezzo delle inevitabili difficoltà che ci troviamo ad incontrare ogni giorno. L’intenzione è di concentrarsi sugli aspetti positivi non per negare i negativi ma per evitare di entrare nella spirale “sarò felice quando tutto sarà a posto”, in modo da poter godere più pienamente di tutti i momenti della vita. È necessario riconoscere il buono nella vita, per sostenere con energia e ottimismo le difficoltà.

Crescere nella gratitudine
Tutte le emozioni hanno la forza di produrre un cambiamento, quando proviamo tenerezza sappiamo che questo cambiamento è in corso: le difese si allentano, siamo più disponibili a prenderci cura di noi e degli altri, ci sentiamo sicuri. La tenerezza chiama altre emozioni, come la gentilezza, la compassione, il calore e la simpatia. La nostra stessa attenzione può avere una qualità di tenerezza che permette di sperimentare gratitudine per il senso di curiosità e novità che accompagnano la nostra esplorazione. Possiamo provarla in qualsiasi situazione perché esprime accettazione, senza richiesta di miglioramenti o cambiamenti.
I sentimenti di gratitudine invece accelerano i processi di guarigione, aumentano il livello di ossigeno nei tessuti e rafforzano il sistema immunitario. Innamorarsi aumenta il livello dell’ormone della crescita e gli effetti durano per circa un anno. Anche se spesso associamo la tenerezza a una mancanza di assertività, in realtà ci permette di aumentare la resilienza e migliorare la guarigione fisica. Senza tenerezza non può esserci gratitudine e viceversa. Entrambe hanno bisogno di un’apertura della mente e non solo della mente cognitiva ma anche e soprattutto della mente sensoriale
Te lo racconto in questo video registrato dopo la fine di un ritiro
Qualche approfondimento sulla gratitudine
I semi della gratitudine
I semi della gratitudine fioriscono lentamente. Sono semi delicati che soffrono per le intemperie e dell’aridità del suolo. Una volta messi a dimora può sembrare che siano improduttivi anche per molto tempo. Poi, una tiepida primavera, un umido autunno, li possono far germogliare illuminando di nuovi significati ogni cosa.
Sono sensibili al modo e patiscono ciò che è brusco come il vento, capace di disperdere anche le migliori intenzioni per farle fiorire lontane nel tempo. In altri luoghi e in altri cuori.
Sono i semi che nutriamo quando, dopo aver rivolto uno sguardo gentile e preciso a noi stessi, nella pratica di Metta, auguriamo alle persone che ci sono vicine, lo stesso auspicio: Che tu possa essere sano, che tu possa essere in pace, che tu possa essere felice.
Si nutrono di comprensione e riflessione e fanno un uso davvero creativo della memoria, riconciliando così passato e presente per aprirci, senza fardelli inutili, al futuro.
Per me, oggi, é tempo di semina. Ieri di raccolta.
Convincimi che hai un seme e io mi preparerò ad aspettare meraviglie. Henry David Thoreau
I passaggi della gratitudine
Siamo debitori agli altri della nostra crescita; in modo diretto e indiretto le persone che siamo, le persone che diventeremo sono frutto anche della matrice relazionale in cui abbiamo vissuto e nella quale stiamo vivendo.
È una consapevolezza tanto diffusa che talvolta ci porta ad essere molto arrabbiati nei confronti degli altri: perché non ci forniscono quello di cui abbiamo bisogno. Così la gratitudine sparisce sostituita dalla ribellione o dalla sottomissione, dalla rivendicazione e dalla protesta. In alcuni momenti può sembrare impossibile provare gratitudine per qualcosa o per qualcuno. Vediamo i limiti delle nostre relazioni, ci sembra che quello che riceviamo sia dentro una logica di giustizia distributiva e niente più.
Eppure la gratitudine – riconoscendo la natura buona dei nostri scambi con il mondo – ci aiuta a sintonizzarci con i punti di contatto, con la capacità di incontro, con il sapore della relazione. Sposta l’attenzione sul nutrimento, anziché sul materiale di scarto e ci consente di separare il grano dalla crusca, la buccia dal frutto. Ci ricorda che il nutrimento esiste sempre. Ne siamo la prova vivente.
Spostando l’attenzione sul nutrimento non neghiamo la difficoltà, semplicemente non permettiamo che la rabbia o la paura, con la solita prepotenza, prendano tutta la scena. Siano sempre sotto i riflettori. Non sono gli unici attori di quel meraviglioso atto unico che è la nostra vita.
Gli equivoci sulla gratitudine
Ci sono degli equivoci quando si parla di emozioni positive. il primo equivoco è far credere – o credere – che dovremmo provarle e che il fatto di provarle sia in sé e per sé un segnale positivo. L’equivoco che ci fa dire “bene o male” è una specie di assioma per cui se proviamo un’emozione negativa è male e se proviamo un’emozione positiva è bene. Così trasformiamo le emozioni in qualcosa di manipolabile a comando, togliendo la qualità informativa e spontanea che, invece, le accompagna.
Trasformiamo la gentilezza in cortesia, la gratitudine in buona educazione. La gratitudine non è qualcosa di obbligatorio da provare in cambio dell’aver ricevuto. Non è il resto educato di un buon acquisto. È, piuttosto, un’emozione che sorge spontanea quando abbiamo provato un’attenzione profonda e intima. Sentire che non c’è nulla di scontato e, per questo, stupirsi di essere vivi e anche felici di questo regalo inaspettato.
È la capacità di conversare anche senza dire una parola perché rimaniamo aperti all’intreccio che si svolge sotto i nostri occhi. La gratitudine non è una restituzione dovuta: è quello che avviene quando non siamo distratti e ci accorgiamo che c’è molto di più di quello che credevamo.
È quando la realtà raggiunge il cuore e non si ferma nei meandri del pensiero. Non dobbiamo sforzarci di dire grazie. Possiamo rimanere presenti fino a che non sorge, proprio come il sole.
Tutto è in prestito
Gratitudini minime
Living in gratitude: le domande di Angeles Arrien
Prima domanda:
In che modo sviluppi l’indipendenza nella tua vita? In natura nulla che sia troppo indipendente o troppo dipendente può prosperare. In questo mese guarda se puoi riflettere su queste due modalità estreme che interferiscono con la vera indipendenza e flessibilità. In che modo puoi mostrare più collaborazione, cooperazione e reciprocità nella tua vita?
Seconda domanda:
In natura ci sono luoghi che aiutano, naturalmente, il contatto con l’interno. Possono essere le montagne, i fiumi, il mare o le foreste. In quali di questi luoghi ti senti più grato? Le preferenze per questi ambienti naturali sono cambiate per te nel corso degli ultimi anni? Se sono cambiate come mai è successo?
Terza domanda:
Quali delle qualità di sopravvivenza desideri sviluppare maggiormente? Attenzione, capacità di usare le proprie risorse, flessibilità o pazienza?
Quali sono gli ostacoli che limitano la tua gratitudine, se ci sono?
Com’è la tua relazione con la natura? Se hai figli, in che modo cerchi di nutrire il loro amore per la natura?
La pratica
La pratica è essenziale per integrare quello che impariamo. Scegli due o tre di queste pratiche e applicale alla tua esperienza quotidiana.
- Ogni settimana scegli un’azione che sostenga l’ambiente, la bellezza del mondo che ci è dato; un’azione che migliori la sostenibilità ecologica.
- Pratica la pazienza. L’impazienza è un segnale di rifiuto o di allontanamento. Quando emerge questo impulso aspetta e pratica la fiducia. Possiamo ferirci o rovinare quello che emerge con una risposta prematura. Osserva cosa sviluppa la tua pazienza e cosa produce la tua impazienza.
- Passa un’ora all’aperto ogni giorno per incrementare il tuo benessere e la tua salute. Più tempo passiamo nella natura e più ci è facile entrare in contatto con la nostra natura interiore.
- Offri gratitudine per quello che la Natura ti ha insegnato in questo mese o per ciò che hai rafforzato delle tue qualità naturali.

Assaporare ovvero il risveglio della mente sensoriale
Forse, semplificando, potremmo dire che, tutto il lavoro bioenergetico è un modo per riprendere i sensi e che riprendere i sensi è necessario se vogliamo assaporare la nostra vita. Quello che limita la nostra capacità percettiva sono le difese che si esprimono attraverso il collasso o la contrazione; riprendere i sensi significa quindi ammorbidire le contrazioni e confortare le parti collassate ristabilendo la capacità espressiva, consapevolezza e padronanza.
Alexander Lowen indica – in questo percorso – alcuni elementi salienti che potrebbero essere definiti – poeticamente – “lasciar scendere”, “allungarsi”, “essere in contatto”,”protendersi”. Sono movimenti interiori oltre che esterni, movimenti del cuore oltre che del corpo. Niente è meccanico in bioenergetica.
Lasciar scendere significa – emotivamente – aprire uno spazio di accoglienza e accettazione verso l’esperienza e la sua novità. Significa entrare in intimità con l’esperienza che permette una comprensione profonda e non reattiva dell’esperienza.
Allungarsi ed essere in contatto sono due movimenti complementari tra di loro. Ritirarsi comporta una perdita di contatto: allungarsi apre alla possibilità che questo contatto si ristabilisca e si metta in relazione con il protendersi. Potremmo chiederci in contatto con che cosa? In contatto con tutto ciò che si trova nel raggio di portata delle percezioni sensoriali. Ogni percezione sensoriale ha inizio con una percezione del proprio corpo; è per mezzo di questo che si percepisce ciò che avviene nel mondo esterno poiché l’ambiente investe i corpi e i sensi. Più si è vitali e più chiare sono le nostre percezioni. È una considerazione semplice quella che, quando stiamo bene, la nostra percezione e presenza alle cose è più vivida. Per aumentare la capacità percettiva bisogna accrescere la vitalità ma potremmo anche affermare l’opposto: se la nostra percezione sensoriale è limitata e ristretta, diminuisce anche la vitalità.
Protendersi è tornare ad aprirci al mondo. Le difese tendono a farci rimanere troppo a lungo in una posizione di ritiro rinforzando così il nostro senso di isolamento ed esclusione e il nostro narcisismo. La qualità della percezione narcisistica è limitata proprio perchè è definita dallo spazio della nostra dimensione personale. Sentiamo noi stessi ma non sentiamo gli altri e il mondo. Quando ci protendiamo usciamo dal nostro ritiro per entrare in contatto con quello che avviene attorno a noi.
Per strano che possa sembrare, per difficile che possa essere quello che stiamo provando, assaporarlo restituisce sapore alla nostra vita. Scopriamo così che possiamo essere felici anche durante le difficoltà e che pensare che saremo felici solo dopo significa rimandare indefinitamente il momento in cui potremo essere innamorati della nostra vita così com’è e di noi così come siamo.
Un uccello non canta perché ha una risposta. Canta perché ha una canzone. Maya Angelou
Cinque consigli per assaporare il cibo
Qui ci sono 5 consigli per iniziare un percorso di consapevolezza mangiando.
1. Impegnati, un po’ alla volta. Comincia da un pasto, o parti di un pasto, o anche semplicemente un piccolo snack, ogni giorno, poi aumenta la quantità di “piatti” su cui prestare attenzione ogni 10-15 giorni, fino a che non ti viene naturale farlo con ogni pasto.
2. Dedica tutta la tua attenzione. Inizia con il prendere un pezzo di cibo, come un chicco d’uva, in mano e fai partire i tuoi sensi. Annusa, nota la sua forma, il colore, come lo senti al tatto, tra le dita… Se ti accorgi che la tua mente comincia a vagare, torna a focalizzarti sull’acino. Poi portalo alla bocca.
3. Sii consapevole dei pensieri, delle sensazioni e dei sapori. Potrai avere delle aspettative altissime (“sembra così buono!”), oppure una delusione perché in realtà avresti preferito un cioccolatino. Accetta i pensieri che si manifestano. Poi, non appena cominci a masticare, nota la dolcezza che esplode nella tua bocca, e come il sapore pian piano svanisce.
4. Nota la fame e il desiderio. Quando hai concluso questo processo, puoi continuare con altri acini. Nota se ne hai semplicemente voglia o se hai davvero ancora fame. Potresti notare che mangiare consapevolmente un solo acino di uva ti dà una grande soddisfazione, oppure ti fa venir ancora più voglia di un cioccolatino. Se sei preda della voglia matta di qualcosa, la soddisfazione svanisce. La mindfulness ti riporta al momento presente, all’esperienza di mangiare un morso alla volta.
5. Assaggia direttamente. Puoi permettere ai tuoi sensi di accendersi assaggiando direttamente il boccone. In questo modo potrai notare cosa ti offre ogni singolo morso o quanti morsi ci vogliono per farti sentire davvero soddisfatto… Ogni boccone ti rivelerà la risposta. di Paola Iaccarino Idelson
La spontaneità del corpo
Molto spesso, facendo lavoro corporeo bioenergetico, si verificano vibrazioni. A molte persone danno fastidio, suscitano turbamento come se fossero segno di una nascosta debolezza o di una debolezza da nascondere.
Si presentano come fascicolazioni (termine medico corretto) o tremori (termine soggettivo corretto) e non sono controllabili. Si possono interrompere ma non controllare.
Si verificano perché il muscolo – quando raggiunge un massimo di tensione – si scioglie in questo modo. Non fa tanti discorsi, non fa tanti pensamenti: come un cavallo selvaggio scuote la testa perché non vuole le redini, così fa il nostro muscolo. È il segno della sua vitalità e della sua libertà (e molto spesso i segnali di vitalità e libertà del corpo ci spaventano tantissimo: peccato!).
Non siamo abituati alla spontaneità del corpo. Il respiro naturale è un’onda asincrona, simile all’onda che arriva sulla battigia. Non è una linea retta. È una linea irregolare. Il nostro respiro naturale è un’onda che sale e scende con piccoli movimenti irregolari. E, soprattutto, se abbiamo un respiro naturale non riusciamo a fermarlo a comando…passano alcuni secondi prima di fermarlo. I secondi in cui la volontà riprende il controllo. Se riusciamo a fermarlo volutamente sappiamo che non è un respiro naturale: lo stavamo controllando.
Respiro e libertà muscolare vanno insieme, almeno in bioenergetica. Finalmente corpo e respiro diventano uno, o meglio una semplice presenza.
Quello che succede – se non interrompiamo la vibrazione e lasciamo il respiro libero – è che, alla fine, emerge una soffice gratitudine.
Sentire o non sentire: questo è il problema
Hai presente quando i bambini chiudono gli occhi e sono convinti che siccome non ti vedono anche tu non li vedi? Ecco, crescendo capiscono che bisogna nascondersi meglio per non essere visti ma non perdiamo l’abitudine egocentrica che ci fa credere che se non sentiamo qualcosa vuol dire che non c’è.
È un’abitudine egocentrica e magica che ci aiuta a mettere in un cassetto i dolori e le cose sgradevoli che possono accadere. Funziona perché possiamo anestetizzare il dolore emotivo proprio come quello fisico. Funziona ma non fa sparire il dolore che rimane lì e limita la nostra consapevolezza. Se abbiamo molto dolore anestetizzato potremmo sperimentare una condizione insolita: stare male e non sapere perché come se tutto fosse avvolto nella nebbia.
Quando iniziamo a praticare mindfulness può darsi che qualche dolore sopito venga a galla. A volte ci coglie di sorpresa, riportando alla mente episodi che credevamo davvero sepolti. A volte sentiamo sorgere un’insolita irrequietezza di cuore, una stranizza d’amore, di quelle che ti fanno venir il prurito trasversale, lo scricchiolio interno, il sobbalzo.
La cosa bella è che il dolore chiede una cosa sola: conforto. Fino a che non lo confortiamo rimane lì, come una spina nel fianco. Le soluzioni danno sollievo ma non sono conforto. Il conforto è permettersi di sentire, senza giudicare, quello che proviamo. A volte il dolore è proprio dolore. Altre volte è un’emozione scomoda come l’invidia o la gelosia. Non fa tanta differenza. La differenza la fa come scegliamo di comportarci e non quello che sentiamo e tra il sentire e l’agire c’è lo spazio della scelta. Abitiamolo lo spazio della scelta: è l’universo delle possibilità.

Il cibo: essere grati e assaporare
Chiediti: Hai fame?
Farci questa semplice domanda ci fa rallentare e ci difende dal cadere in abitudini automatiche, come lo spilluzzicare continuamente. Essendo presenti in questo momento possiamo riconnetterci con il nostro corpo, con i segnali fisici della fame e mangiare con INTENZIONE per soddisfare la fame fisica, quella del corpo, delle cellule e dello stomaco.
Cosa stai mangiando?
Fermarsi a riflettere su ciò che stiamo mangiando facilita la consapevolezza su come il cibo interagisce con il nostro corpo. Questa ATTENZIONE ci permette di considerare se il cibo che stiamo mangiando è nutriente e se soddisfa la nostra fame fisica, emozionale, mentale. Portare consapevolezza nel mangiare ci permette di scegliere cosa mangiare, quanto e quando finire di mangiare.
Come trai beneficio da ciò che mangi?
Apprezzare tutti gli ingredienti ci aiuta a costruire una relazione più forte e più sana con il cibo e riconoscere il valore dell’energia e dei nutrienti che questo cibo ci sta fornendo per rendere migliore la nostra condizione fisica, emozionale e mentale. Provando GRATITUDINE per il cibo che mangiamo inizieremo a scegliere cibi più sani e che soddisfano momento per momento i diversi tipi di fame.
Stai assaporando il cibo che stai mangiando?
Il cibo è una gioia da mangiare! Molto spesso crediamo che reclamando il controllo sulle nostre ossessioni alimentari, o aderendo a regimi restrittivi e punitivi possiamo riconnetterci al cibo sano e diventare più sani. L’esperienza ci dice che non è così. Riconoscendo e celebrando il PIACERE del cibo e adottando un approccio non giudicante, possiamo finalmente gettare via il senso di colpa e celebrare la passione, la creatività e condividere esperienze sensoriali del mangiare e del vivere.
Apprezzarsi
Forse conosci anche tu il conflitto tra il desiderio di ricevere approvazione e l’imbarazzo del ricevere un complimento e quella altalena tra approvazione e disapprovazione che fa salire e scendere il nostro umore quotidianamente.
Non vogliamo ammetterlo ma se il nostro umore è alto anche la piccola difficoltà diventa niente. Quella stessa difficoltà che ci sembra una conferma del nostro destino di infelicità quando, invece , il nostro umore è basso.
Così cominciare ad apprezzarsi non è un optional ma una necessità per uscire da questi sbalzi di umore e dall’altalena del “giusto o sbagliato” come atteggiamento diretto dal giudizio altrui.
Forse potresti credere che apprezzarsi sia un atto narcisistico ma, come dico spesso, inizio e fine si toccano e quindi apprezzarsi è anche un modo per manifestare gratitudine verso quelle persone che ci hanno aiutato a far crescere le nostre qualità.
Così potremmo fare una lista delle qualità di noi che apprezziamo come primo passo per tornare alla gratitudine verso chi ha dato sostegno a queste stesse qualità. A volte sono persone familiari e a volte possono essere sconosciuti.
Ieri ascoltavo un’intervista a Ludovico Einaudi e lui dichiarava la sua gratitudine a Luciano Berio che l’aveva incoraggiato all’inizio della sua professione. Ma la sua gratitudine non si fermava a Berio che, ad un certo punto, aveva avuto dei dubbi rispetto al tipo di sperimentazione che stava conducendo Ludovico, ritenendola a rischio di superficialità. Senonché gli era capitato di suonare dei brani e di ricevere degli applausi dalla strada da sconosciuti passanti, oppure di ricevere dei biglietti sotto la porta da altrettanti sconosciuti ascoltatori. Questi sconosciuti hanno sostenuto la sua sperimentazione e Ludovico esprimeva nell’intervista anche quanto questo sostegno fosse stato per lui fondamentale (Trovi l’intervista su Spotify: Experience. The Ludovico Einaudi Story).
Applichiamo alle nostre qualità positive gentilezza, consapevolezza e la certezza che le condividiamo con molte altre persone: questo ci permetterà di essere grati e di gustarle senza timore di diventare narcisisti.
Apprezzare l’impegno
Siamo abituati a sentire la parola miglioramento e, tutto sommato a provare simpatia per l’idea che le cose migliorino. Tanto che, qualche giorno fa, una persona mi ha detto, parlando del fatto che stava meglio rispetto al passato “Sto meglio o sono meglio?”. Perché in fondo l’idea nascosta dietro ai nostri propositi di miglioramento è che, se stiamo male è perché andiamo male. E, quindi, dovremmo migliorare e migliorarci.
Così non ho potuto fare a meno di sottolineare quanto la frase “sono meglio” fosse aggressiva rispetto a come era stata prima e rendesse il fatto che stava meglio una conseguenza dell’essere una persona migliore. In realtà a volte stiamo bene e a volte stiamo male perché la nostra vita è così: un continuo saliscendi che noi cerchiamo di rendere stabile il più possibile. salvo poi annoiarci quando siamo stabili da troppo tempo.
Sarebbe bello se spostassimo il fuoco dell’attenzione dal nostro miglioramento al nostro impegno, alla costanza con la quale ci curiamo, al desiderio di essere più felici. sarebbe bello se apprezzassimo quello che impariamo ogni giorno, anche se non rende il nostro umore immediatamente migliore.
Sarebbe bello se riconoscessimo che anche gli altri si impegnano. Anche gli altri fanno il possibile e imparano qualcosa ogni giorno. E tutti riconoscessimo che il nostro impegno ha valore anche quando non porta ad un risultato immediato. Visto che sarebbe bello perché non iniziare a farlo e anziché misurare quanto siamo migliorati misurare quanto impegno abbiamo dato, quanto siamo stati costanti e fedeli. E apprezzare quello che abbiamo fatto in realtà: di più, evidentemente non potevamo fare.
Non occorre aspettare che sia il futuro a portare un miglioramento: puoi trovarlo già qui. Penmann, Williams
Lasciarsi ammorbidire dall’esperienza
Per coltivare equanimità, cogliamo i momenti in cui sentiamo attrazione o avversione, prima che si induriscano in attaccamento o negatività. Ci alleniamo a stare con il luogo tenero e a usare le nostre inclinazioni come scalini per connetterci con la confusione degli altri. A questo riguardo sono utili le emozioni forti. Qualsiasi cosa sorga, non importa quanto negativa sembri, può essere usata per sentire la comunanza con gli altri che soffrono dello stesso genere di aggressività o di brama e che, proprio come noi, restano agganciati da speranza e paura. Così arriviamo ad apprezzare il fatto che siamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo tutti un disperato bisogno di maggior comprensione profonda di ciò che porta felicità e di ciò che porta sofferenza.
Di recente mi trovavo a far visita ad una amica in un centro di meditazione. In pochi giorni, da più persone, mi sentii dire che arrivava sempre in ritardo. Lei giustificava i suoi ritardi con apparenti buone ragioni. Che fosse pure ipocrita irritava gli altri ancora di più.
Un giorno trovai la mia amica seduta su una panchina rossa in volto, tremava di rabbia. Aveva un appuntamento con qualcuno e stava aspettando da un quarto d’ora e la persona non si era ancora fatta vedere.
Era difficile non notare la comicità della sua reazione. Tuttavia aspettai per vedere se lei riconosceva che la situazione si era rovesciata, che questo era quello che per anni aveva fatto passare agli altri. Ma questa intuizione non arrivò affatto. Non riusciva a mettersi nei panni degli altri…Non era pronta a sentire la comunanza con tutte le persone che aveva fatto aspettare. Come molti di noi intensificava inconsapevolmente la sua sofferenza. Anziché lasciarsi ammorbidire dall’esperienza la usò per rafforzare la sua durezza e la sua indifferenza. Pema Chodron
Che differenza c’è tra crescita e miglioramento?
Anche se tendiamo a negarlo l’idea del miglioramento è sottilmente ostile nei nostri confronti. Significa che c’è qualcosa che non va, qualcosa a cui subordiniamo la nostra possibilità di accettazione. Mi accetterò quando avrò superato quel problema, quel difetto, e dimostrerò così, a me stesso e agli altri, che valgo, che sono capace, che ho padronanza nei confronti della mia vita. Inoltre l’idea del miglioramento fa pensare a qualcosa di statico, già definito e concluso, che richiede solo un ritocco. Magari grande ma un ritocco.
Il concetto di crescita è invece più stimolante e flessibile. Include la possibilità che ci siano aspetti più maturi e altri più deficitari, include l’idea che il cambiamento sia in corso ma non dà una classificazione negativa. Rimane aperto a molte possibilità che potranno verificarsi o meno, a seconda della direzione di sviluppo. Include la possibilità che non tutto si realizzi ,senza che questo debba per forza essere considerato un fallimento. Molto spesso le persone orientate alla filosofia del miglioramento hanno una visione perfezionistica delle loro possibilità di crescita.
Chi, invece, ragiona in termini di crescita. in genere associa la crescita ad un aumento degli aspetti positivi ed è più propenso al rischio, anche al rischio di sbagliare, di chi, invece, si muove in termini di miglioramento.
Molti dei nostri tentativi di miglioramento nascondono, infatti, una sotterranea sensazione di inadeguatezza. Non ci sentiamo all’altezza, a volte di uno standard di prestazione, a volte di un ideale, a volte di come eravamo e di come cerchiamo di rimanere. Perché la sensazione di inadeguatezza ci perseguita? Perché sentirci inadeguati ci fa sentire fuori dal club, fuori dal gruppo, fuori dall’appartenenza.
Per amare chi sei non puoi odiare le esperienze che ti hanno fatto diventare come sei.
L’avvento della mindfulness: calendario
Se vorrai potrai fare un’offerta liberale per il Progetto Caritas “Bollette sospese”, un modo per sostenere un Natale più leggero per chi è in difficoltà.