
Apparentemente le persone accondiscendenti sono socievoli e disponibili, poco propense al conflitto. È piacevole stare con loro perché rendono le cose facili e sono accomodanti. Ma quello che fanno a sé stesse non è tanto simpatico e potremmo riassumerlo con due movimenti: da una parte si dissociano dalla rabbia che provano e la infilano nel posto più lontano che hanno. Un luogo interiore dove c’è una specie di magazzino di tutti i “no” che non hanno mai detto. Dall’altra mostrano la loro socievolezza al mondo ma è una socievolezza che non può avere profondità, altrimenti rischierebbero di far tornar fuori la rabbia accumulata.
Questi due movimenti hanno un costo: è faticoso allontanare sempre le proprie ragioni per metterle in cantina. È faticoso dare sempre una disponibilità al contatto anche quando non ne avremmo davvero voglia. Dobbiamo rendere il nostro contatto un po’ sfumato e ovattato perché vada bene per tutte le occasioni. Potremmo credere che questa sia accettazione ma non è accettazione: è costringersi all’accettazione, negando il diritto di sentire e riconoscere quello che proviamo davvero.
Poi c’è il fattore tempo: perché tutto questo è come una bomba ad orologeria e prima o poi, magari per una ragione imprevista, tutto quello che era stato dissociato torna fuori ed esplode. E allora son dolori. Dolori per tutti. Per chi è stato accondiscendente e per chi credeva che fosse tutto a posto. Dolori anche per chi passava casualmente da lì. In una parola, quello che sembra facile, a volte non è davvero facile, a meno che tu non sia un cane…
Se puoi rimanere seduto tranquillo di fronte ad una cattiva notizia; se rimani perfettamente calmo nelle sorti finanziarie avverse; se puoi guardare ai meravigliosi viaggi dei tuoi vicini senza nemmeno una sfumatura di gelosia; se puoi mangiare felice tutto quello che ti viene messo nel piatto e trovare sempre soddisfazione per dove ti trovi: allora, probabilmente sei un cane. Jack Kornfield citato Chris Germer
Pratica di mindfulness: Esplorare rifiuto e accettazione
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