
Ho visto ogni sorta di auto-sabotaggio: da quelli comici a quelli tragici. E devo dire che anch’io, quanto ad auto-sabotaggio, non scherzo. Il problema del sabotaggio è che te ne accorgi sempre dopo che l’hai fatto. Sul momento il sabotaggio galleggia in una nuvola di inconsapevolezza spesso comoda come l’ovatta. O meglio l’ovatta al momento sembra comodissima ma dopo un po’ che stai su un cuscino di ovatta ti rendi conto di come questa cedevolezza si trasformi gradualmente in un tormento. Meglio cuscini duri e sinceri che il kapok costoso e traditore!
Comunque direi che se guardo ai grandi personaggi che ho amato non posso dire che fossero esenti da auto-sabotaggi. Sono arrivata a pensare che il sabotaggio nasca proprio da questo: dalla fatica che facciamo a cavalcare la nostra grandezza. E allora, per renderla più domestica, scegliamo la strada della riduzione. Abbiamo paura di dove potrebbe portarci la nostra grandezza e ci sentiamo più sicuri a procedere tra alti e bassi. Soprattutto ci sentiamo più sicuri a fare tanta fatica. E più facciamo fatica più ci sembra che le cose tornino. Forse perchè ci hanno detto che la vita è faticosa. Non è vero che la vita è faticosa. Le cose più belle della nostra vita valgono tutta la fatica che abbiamo fatto e se ci guardiamo indietro quelle cose non le vediamo più come faticose. La vita diventa faticosa quando abbiamo paura della nostra grandezza e, per non volare troppo in alto, riempiamo le tasche di sassi. Allora sì che è faticosa.
È il nostro carattere che ce la rende faticosa, che ci frena dove, invece, potremmo volare. Che ci rende pigri dove invece ci sarebbe energia. Il nostro carattere è quello che diventa la nostra prigione. La buona notizia è che abbiamo noi la chiave.
C’è fannullone e fannullone. C’è chi è fannullone per pigrizia o per mollezza di carattere, per la bassezza della sua natura, e tu puoi prendermi per uno di quelli. Poi c’è l’altro tipo di fannullone, il fannullone per forza, che è roso intimamente da un grande desiderio di azione, che non fa nulla perché è nell’impossibilità di fare qualcosa, perché gli manca ciò che gli è necessario per produrre, perché è come in una prigione, chiuso in qualche cosa, perché la fatalità delle circostanze lo ha ridotto a tal punto. Vincent Van Gogh Lettere a Theo
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© Nicoletta Cinotti 2019 Cambiare diventando se stessi
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