
A volte abbiamo il cuore troppo pieno, come se fosse un contenitore riempito fino al punto in cui inizia a tracimare. A volte il troppo pieno sono le nostre emozioni che balzellano fuori e trasbordano. Altre volte invece il nostro cuore è tutto occupato dai bisogni degli altri. Diventa un territorio occupato, una striscia di Gaza in cui per noi, palestinesi per caso, non c’è spazio ma siamo stretti tra i bisogni contrapposti delle persone che amiamo. Potrebbe essere una facile e banale differenza di genere: molto spesso le donne lasciano che il loro cuore sia occupato dai bisogni degli altri. Per questa ragione possono sembrare lamentose perché i loro bisogni, non trovando spazio dentro, diventano una brontolio sommesso e costante fuori. Il vero punto però rimangono i territori occupati. Esiste una matematica dell’occupazione? Quanto dovrebbe essere generoso e altruista un cuore per permettere che rimanga anche dello spazio personale?
Quanto potremmo lasciare per noi, senza togliere niente della naturale apertura che si richiede al mondo degli affetti? Qualcuno ha trovato la formula dell’equilibrio tra le attenzioni da dare a noi stessi e quelle da dare agli altri? E come la mettiamo per quelle preoccupazioni che ci fanno stare tranquilli solo quando abbiamo risposto al richiamo di cura, quel “separation call” che sembra abbia effetti fin nel nucleo cerebrale più profondo?
Mi faccio queste domande mentre constato, con precisa certezza, quello di cui non mi occupo e che mi riguarda. Faccio, con sconsolata consapevolezza la lista. tolgo il superfluo e rimane ancora molto dell’essenziale che rimando. Difendo lo spazio della meditazione che mi spinge ad alzarmi all’alba, contenta di questo intimo appuntamento con me. Poi come apro gli occhi dopo la pratica è un brulicare di altro che mi riempie, sì è vero, è anche un bel riempire ma, nello stesso tempo, mi occupa. Allora l’unica cura che conosco, quando arriva questa sensazione di occupazione, è il breve, silente, intimo, spazio di respiro di tre minuti. Un praticare pausa per tornare a definire i miei territori interiori: sensazioni fisiche, sensazioni emotive, pensieri. In quel momento mi faccio genitore. Non genitore di una bambina, La bambina avrebbe già risolto tutto con una bella vacanza. Avrebbe già mandato all’aria l’agenda e si sarebbe messa a giocare da qualche parte. Mi faccia genitore di quell’adulta seria e responsabile che crede di venire in fondo alla lista delle cose da fare. Per molte persone è questa parte quella che ha più bisogno di essere rieducata. Quella che è convinta che i propri bisogni possano aspettare, che quelli altrui abbiano la precedenza, che si debba aspettare il momento giusto, quando tutto sarà a posto, per ascoltare la risposta alla domanda più semplice del mondo, “Di che cosa ho bisogno ora?“.
Capì che, non solo ella gli era vicina, ma che ora non sapeva più dove finiva lei e dove cominciava lui. Anna Karenina, Lev Tolstoji
Pratica di mindfulness: Praticare pausa
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves