Quando, da fisiatra, mi sono avvicinato alla Bioenergetica, mi sono domandato in che modo le due professioni avrebbero potuto convivere. E la risposta, naturalmente, non è arrivata né dai molti libri letti e studiati, né dalle numerose lezioni teoriche del corso di specializzazione. Anche perchè non si tratta di una risposta, ma di una strada; la strada comune è il corpo.
Il corpo che è una grande opportunità per ciascuno di noi, ed un inestimabile privilegio per chi lavora con i disabili fisici, che chiaramente possiedono un corpo che soffre, e per chi lavora con gli acciaccati emotivamente, il cui corpo possiede le forme e le ammaccature proprie della storia personale.
Ecco, il corpo è il comune denominatore e la strada, l’unico in grado di modulare le nostre esperienze personali e di permetterci di stare ancorati alla nostra realtà.
La Fisiatria
La Fisiatria, o Medicina Riabilitativa, è una specialità medica ufficializzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1968, che si occupa del recupero e della rieducazione funzionale delle disabilità fisiche, congenite (paralisi cerebrali etc) ed acquisite (traumi, patologie ortopediche, neurologiche, reumatologiche, internistiche etc). Si occupa inoltre delle disfunzioni posturali, che possono essere sia congenite (displasia dell’anca, piede torto, torcicollo) che acquisite (dismorfismi vertebrali etc).
Che cosa in comune con la Bioenergetica?
Già da un primo sguardo alla cronologia ed alla definizione, possiamo scorgere le prime analogie con la Bioenergetica, che nasce ufficialmente nel 1956, quindi non molto antecedente, quando Lowen, insieme ai colleghi Pierrakos e Walling, fonda a New York l’International Institute for Bioenergetic Analysis.
Ritroviamo anche l’accento alla funzione, nel senso che entrambe si occupano di come funziona il corpo, nel tentativo di recuperare le modalità più corrette e sane. La Bioenergetica, inoltre, ha come postulato fondamentale e fondante l’identità funzionale tra mente e corpo, intendendo che corpo e mente funzionano all’unisono.
Entrambe, tra l’altro, si prendono cura degli esiti dei traumi, che per la Fisiatria sono rappresentati principalmente da lesioni scheletriche, dei tessuti molli o neurologiche, mentre per la Bioenergetica riguardano l’armatura caratteriale eretta come difesa muscolare a seguito di traumi emotivi occorsi precocemente nella vita dell’uomo.
Ancor più evidente è l’interesse comune verso le posture, che per entrambe le discipline rappresentano i principali strumenti di diagnosi e di trattamento.
La Postura
La postura è la posizione del corpo nello spazio e la relativa relazione spaziale tra i suoi segmenti scheletrici, il cui fine è il mantenimento dell’equilibrio, sia in condizioni statiche che dinamiche. L’uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi per la postura eretta, che amplia la possibilità di soddisfare i suoi bisogni – cibo, contatto, calore, riparo. La postura eretta è l’avvio alla consapevolezza umana. Passando alla posizione ortostatica, cambiano le sensazioni, il sistema nervoso assume un diverso orientamento, si è più interattivi e vigili. Cambia il rapporto con la terra, e tra l’altro per stare eretti dobbiamo crescere verso il basso. La postura eretta è la spinta alla formazione dell’io, all’individuazione della propria esistenza, alla creazione di uno stile di vita (Keleman, S. 1979).
Il corpo eretto diventa la nostra coscienza. Evolvendo alla postura eretta, perdiamo la stabilità dell’orizzontalità, per acquistare instabilità e reattività, che sono le basi della consapevolezza umana.
La quantità di energia impiegata dal bambino per imparare a stare in piedi, ci parla della difficoltà a strapparci all’ambiente dipendente, tanto più se questo è stato povero, di cure e di amore. Ma finchè sta sdraiato o carponi, il bambino non può diventare autonomo. Verticalità e individualità coincidono.
Stando in piedi possiamo anche provare ad amare, a differenza degli altri animali, che possono sì avere contatti e rapporti, ma mai realizzare quelle relazioni così potenzialmente ricche e tenere. Perchè noi, in piedi, spogliamo il lato tenero. Esponiamo il ventre, il petto, gli organi genitali. Stare in piedi è aprirsi, dispiegare quella tensione e contrazione che ci fanno ripiegare su di noi. Per questo stare in piedi, diritti, è voglia di diventare grandi, di formare il proprio sé nel contatto con il mondo.
a cura di Maurizio Tuccio