Spesso utilizzo questa frase “portare la pratica al cuore” durante i protocolli che conduco. Infatti la parola mindfulness – che contiene la parola mind/mente – potrebbe portarci a considerare la presenza mentale che pratichiamo con la mindfulness un aspetto prevalentemente legato ai pensieri. E’ tutt’altro che così, come dice Kabat Zinn in un bellissimo video e come spiego – molto più modestamente – anch’io in uno dei miei video “Dalla Mindfulness alla heartfulness“.
Cosa significa portare la pratica al cuore?
Se immaginiamo il lavoro che viene fatto nei protocolli possiamo dire che la prima parte è stabilizzare l’attenzione in modo da avere una sufficiente concentrazione che ci permetta di essere consapevoli. Man mano che prendiamo dimestichezza con la concentrazione e la consapevolezza passiamo dalla focalizzazione su un oggetto specifico – corpo, pensieri, emozioni, suoni – e poi a quella che viene definita consapevolezza aperta o choicheless awareness che ci permette di arrivare alla hearthfulness ossia alla piena presenza alla mente-cuore, una mente che non nasce dalla proliferazione dei pensieri ma dalla consapevolezza della relazione tra una mente aperta e un cuore aperto.
Cosa c’entra la consapevolezza con il cuore
Quando diciamo che mindfulness è consapevolezza intenzionale, momento per momento, senza giudicare e senza presumere di sapere, affermiamo che la vera consapevolezza nasce quando la nostra percezione è scevra da rifiuto, attaccamento o delusione, le tre reazioni emotive che vengono dalle nostre difese e che portano, in un colpo solo, a chiudere la nostra mente – e il sintomo è la proliferazione mentale – e chiudere il nostro cuore – e il sintomo è un senso di separatezza e sconnessione dagli altri, una perdita di significato della vita stessa.
Perché il cuore si chiude?
Il cuore si chiude in risposta ad una ferita, in quel processo che nella psicologia buddista viene chiamato, la seconda freccia. Accade qualcosa che ci ferisce ma la vera sofferenza è prodotta dalla nostra reazione a quel dolore. La nostra reazione però non è solo avversativa. A volte accade qualcosa che ci dà piacere e facciamo di tutto per trattenerlo, prolungarlo, congelarlo, esponendoci così – anche in questo caso – ad una forma di sofferenza, perché neghiamo l’inevitabilità del cambiamento e l’impermanenza di tutto ciò che è vivo.
Trattenere il piacere, rifiutare lo spiacevole
Ogni cosa che percepiamo ha un tono che può essere piacevole, spiacevole o neutro. Un tono che possiamo registrare e nel momento in cui ne prendiamo consapevolezza, esserne anche liberi.
Quello che succede frequentemente, invece, è che accade qualcosa di piacevole e cerchiamo di aggrapparci, creando un attaccamento che crea insicurezza, dipendenza e fragilità a causa della natura in costante cambiamento delle relazioni, delle cose e di noi stessi. Niente di più fragile che aggrapparsi alla propria giovinezza, alla propria bellezza o alla propria intelligenza che, nel corso degli anni, muteranno e saranno soggette a trasformazioni. Essere attaccati a questi aspetti, così come ad altri elementi personali o relazionali che giudichiamo piacevoli, significa essere fuori dall’armonia delle cose, per come sono, fuori dalla verità e in conflitto con qualcuno o con qualcosa. Non è un atteggiamento da giudicare o da condannare ma un aspetto di cui essere consapevoli e rispetto al quale praticare. Il percorso dalla mindfulness alla hearthfulness ci permette di incontrare qui delle pratiche importanti: “Accettare ciò che non vogliamo” , “Lavorare con le emozioni” , “Lavorare con la paura” e “La pratica di Upekkha”che possiamo vedere nell’immagine sottostante.
E’ importante, per non trasformare queste frasi in una ripetizione meccanica, avere una sufficiente esperienza sia di pratica di mindfulness che delle pratiche che ho elencato sopra e che sono una preparazione per la pratica di Upekkha. Questa pratica non va intesa come una scorciatoia ma come un approfondimento nel nostro cammino di portare la pratica al cuore.
Essere attaccati significa che siamo fuori dall’armonia delle cose così come sono realmente, fuori dall’armonia con la verità, e questo è così legato all’essere nel dolore. E’ legato all’essere in conflitto, da qualche parte o con qualcuno. Sharon Salzberg
La gentilezza amorevole
La gentilezza amorevole è l’altra pratica che, tradizionalmente, accompagna questo percorso verso la piena presenza alla mente-cuore.
Metta – o gentilezza amorevole – può manifestarsi attraverso la nostra generosità quotidiana, attraverso il nostro prenderci cura di noi stessi e degli altri. E’ l’espressione di una generosità di spirito che ci sposta dal nostro essere totalmente centrati sul nostro benessere ad espandere l’attenzione verso tutti gli esseri.
E’ la pratica che più aiuta nei confronti delle risposte avversative.
Le risposte avversative includono la rabbia, la paura,la frustrazione, il desiderio di vendetta, l’impazienza e sono stati mentali che ci danneggiano. Esprimono una forma di rifiuto e il desiderio di separarci da ciò che sta accadendo in quel momento, la creazione di una distanza e una disconnessione. E’ uno stato di repulsione nel quale cerchiamo la colpa piuttosto che la conoscenza. Quando reagiamo con l’avversione ci ritiriamo dall’esperienza e ce ne separiamo. Spesso proiettiamo ciò che succede in un preciso momento nel futuro, congelandolo come se non potessero esserci cambiamenti. Facciamo delle previsioni nefaste che spesso tendiamo a trasformare in profezie auto-avverantesi.
Anche in questo caso ci sono delle meditazioni di preparazione: le più significative per me sono: Cullare il cuore, Addolcire, confortarsi aprire, e Self compassion breathing. Altre riflessioni sono già state presentate nell’articolo “Un percorso tra empatia e compassione“. Lo scopo di questa lunga introduzione è lo stesso: non trasformare la ripetizioni della frasi in un processo meccanico o in un pensiero magico. L’immagine sottostante raccoglie le frasi di metta comunemente usate.
Liberarsi dalla delusione
Liberarsi dalla delusione è il terzo passo del percorso dalla mindfulness alla hearthfulness. La delusione porta ad un senso di disconnessione, di ottundimento, di confusione nei confronti di ciò che sta accadendo nel presente della nostra vita. Spesso è la risposta che abbiamo di fronte alla neutralità: preferiamo di gran lunga i picchi emotivi, in alto e in basso, della neutralità che ci porta a sentire delusione. Quando la delusione è abituale si diffonde al di là delle nostre esperienze neutrali, e si accompagna con un senso di insoddisfazione interiore o con il dolore della confusione rispetto a quello che accade; un dolore che tendiamo a non notare o a coprire con attività stimolanti. Comporta una certa compiacenza verso la nostra vita della quale non ci occupiamo abbastanza da nutrire il cambiamento. La delusione spesso è uno degli elementi che più interferisce con la fedeltà alla pratica: come se valesse la pena fare solo ciò che dà risultati immediati.
La prospettiva delle radici
Più conosciamo con chiarezza le nostre emozioni e le nostre reazioni, più creiamo un fondamento profondo per la nostra pratica. Un fondamento basato sulla cura e sulla coscienza, che ci permette di scoprire la profondità della nostra interconnessione gli uni con gli altri. Proprio come le radici di un bosco, noi siamo apparentemente alberi diversi ma se guardiamo alla profondità delle radici possiamo facilmente scoprire quanto le radici dell’uno si tessono e intrecciano con le radici dell’altro. In questo percorso il corpo, il tronco e i rami del nostro albero, giocano un ruolo fondamentale. Infatti queste tre difese che chiudono la mente cuore – avversione, attaccamento e delusione – hanno un corrispettivo nei nostri movimenti primari e nei nostri blocchi.
Eventi correlati
Meglio una goccia di pratica che 100 ore di teoria: ecco perché tutto questo, senza pratica non può essere realizzato.
[ecs-list-events design=”columns” limit=’15’ thumb=’true’ thumbheight=’550′ viewall=’false’ venue=’true’ contentorder=’date, title,venue, excerpt, thumbnail’ buttonbg=”#038793″ buttonfg=”white” button=”Informazioni” cat=”— — Gruppi terapeutici, — Analisi bioenergetica,— — Protocollo MBCT,— — Protocollo MBSR” ]
© Nicoletta Cinotti 2016
Bibliografia
Wallace B.A., I quattro incommensurabili
Salzberg S., Un cuore vasto come il mondo
Lascia un commento