
La pratica di Metta è una delle pratiche più importanti e più difficili dei programmi MBSR. Non siamo certamente abituati a pensare che augurare il bene dell’altro possa avere un effetto sul nostro benessere, nè siamo abituati ad una vera e propria educazione che sostenga le emozioni positive.
Nello stesso tempo per tutti noi – e in particolare per coloro che lavorano nelle professioni d’aiuto – è fondamentale riuscire a sviluppare delle capacità di empatia e comprensione dell’altro, attivando così il circuito ossitocinergico di cura e relazione.
Possiamo così pensare, sia nei programmi MBSR che soprattutto nella nostra vita, la pratica di metta sia un percorso verso l’altro, preparato con alcune meditazioni introduttive..
Quelle che vi propongono sono tratte liberamente dal lavoro di Saki Santorelli e riadattate nella mia esperienza clinica.
COLTIVARE LA COMPASSIONE: UN PERCORSO VERSO LA METTA
Dal punto di vista altrui
Spesso la sensazione delle differenze e della distinzione tra noi e gli altri è la prima lente con la quale guardiamo al mondo. Come caregiver, la nostra capacità di avvicinarci all’esperienza del paziente è una forma particolarmente ricca di pratica mindful. Questa pratica ci permette di comprendere la nostra interconnessione. Come ascoltiamo la storia dei nostri pazienti e dei loro sintomi possiamo iniziare a sentire come sarebbe per noi essere in queste situazioni. Come ci sentiremmo se la malattia modificasse attività che diamo per scontate come camminare, guidare o andare fuori a cena? Come questo condizionerebbe il tenore delle nostre emozioni e del nostro Sè? Osserva cosa succede nel tuo respiro, osserva le sensazioni del corpo, il flusso di emozioni e pensieri mentre mantieni il tuo impegno a rimanere il più vicino possibile all’esperienza che ti stanno descrivendo, così come la stanno descrivendo. Nota la tua intenzione e il tuo impegno man mano che il processo in corso tocca e cambia il tuo modo di ascoltare, osserva le tue domande e la tua capacità di sentire il dolore dell’altro e come l’empatia e la compassione si sviluppano.
Presta particolare attenzione all’assunzione implicita che hai fatto riguardo alla realtà. Puoi iniziare a notare che la realtà percepita dal paziente è spesso piuttosto diversa da quella percepita dal curante.
Saperlo, riconoscerlo e avvicinarsi a questo gap implicito, spesso sottaciuto, può iniziare a cambiare l’intero contesto della relazione di cura.
Ancora una volta ricorda che questa è una pratica che probabilmente non hai incontrato negli anni della tua formazione.Tenerlo presente può aiutarti a sciogliere le sensazioni di disagio rispetto all’essere perfetto.
Lo stesso punto di vista
Mentre siedi in consultazione o sei a casa con i tuoi familiari, prova ad essere consapevole della realtà umana che condividiamo – senza parole –
In modo fondamentale al di là della diversità dei dettagli delle nostre storie, noi e gli “altri” non siamo separati.
Al di là degli elementi di separazione condividiamo qualcosa di più grande, qualcosa che potremmo chiamare “realtà condivisa”.
All’inizio la consapevolezza di questa condivisione può fare paura; poi può essere una fonte di gioia anche in mezzo alle difficoltà.
Ascoltando più profondamente possibile, tutto ciò che le persone ci dicono, entriamo in questo dominio della realtà, la realtà condivisa.
Sedere accanto, nel senso letterale del termine, può permetterci di cogliere quest’area di condivisione, questa comunione.
Essere seduti nel cuore
Quando ascoltiamo un’altra persona possiamo farlo “sedendoci” nel nostro cuore. È come se cominciassimo a scoprire che il cuore ha i suoi sensi, sensi che ci permettono l’accesso al mondo che sta al di là delle apparenze. Il cuore può trasmettere e accogliere. Dare e ricevere. Proviamo ad imparare a coltivare e usare entrambe queste dimensioni – invisibili ma percepite – del nostro cuore.
Proviamo a riconoscere il fatto che possiamo trasmettere una corrente di cura e gentilezza senza parole dal nostro cuore. In alcune tradizioni meditative questa corrente è visualizzata come verde o oro. C’è poca differenza se la visualizziamo o semplicemente lasciamo che questa capacità emerga dentro di noi per muoversi verso l’altro. Non c’è bisogno di parlarne o di usarla per cercare di cambiare o “manipolare” l’altro. È sufficiente sperimentarla e silenziosamente riconoscerne l’esistenza
a cura di Nicoletta Cinotti
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