
Non so perché ma in genere partiamo da quello che c’è. O, almeno, ci diciamo che stiamo partendo da quello che c’è. Io non credo che sia proprio così o solo così.
Credo che in generale partiamo anche da quello che non c’è. Anzi che quello che c’è è definito moltissimo da quello che non c’è. Definiamo i nostri rapporti sulla base di quello che sono e di quello che non sono. Definiamo la nostra vita sulla base di quello che abbiamo realizzato e sulla base di quello che non abbiamo realizzato e che temiamo che non realizzeremo mai, in un continuo dialogo tra pieno e vuoto. Quello che ci spinge – il vero motore – non è il pieno ma il vuoto. Dev’essere per questo che non siamo mai contenti: perché il nostro motore è sempre il vuoto. Anche il nostro cervello funziona così: attiva il sistema di ricerca sulla base di quello che non c’è mentre il sistema di ricompensa – quello che si accende quando realizziamo qualcosa – è veloce nel brillare e altrettanto veloce nello spegnersi.
Così stiamo in un apparente paradosso: siamo mossi dalla mancanza ma convinti che trovare sia la soluzione. La vera sfida è nella misura: se misuriamo la nostra vita con la distanza che c’è tra quello che abbiamo e quello che vorremmo avere siamo perduti. È una misura incolmabile perché è costante. Appena abbiamo qualcosa la misura incolmabile sposta avanti l’asticella del desiderio.
La via d’uscita? È lasciare che la mancanza e il vuoto ci facciano fertile compagnia. Di fatto la nostra creatività – come persone e come genere umano – sta proprio lì, nello spazio della mancanza. Se avessimo tutto perderemmo qualsiasi spinta creativa e dovremmo, per tornare a vivere, iniziare a buttar via qualcosa.
Se nella tua vita c’è una mancanza che ti disturba, che ti punge, che per qualche ragione consideri la misura del tuo fallimento, ringraziala: ti sta regalando tutta la creatività del mondo. Ti sta regalando la misura, il ritmo, il chiaroscuro. Non lasciarti offuscare: entra in quella mancanza con spirito leggero: è da lì che filtra la luce.
sembra che gli alberi si servano degli uccelli per esprimere il canto
anche gli alberi cantano ma tu hai orecchie abituate solo agli uccelli. Farabbi, Anna Maria . Dentro la O
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2020 La cura del silenzio. Ritiro online