
La gente si aggrappa all’abitudine come a uno scoglio, quando invece dovrebbe staccarsi e buttarsi in mare. E vivere. Charles Bukowski
Parecchi anni fa facevo parte di un gruppo di meditatori con sedi in tutto il mondo. Avevamo una severa disciplina di meditazione e periodici ritiri e intensivi. Con alcune di queste persone, nel tempo, si era sviluppata una frequentazione intensa e rimanevo spesso colpita dalla differenza tra la loro vita e la loro pratica. Molti di loro avevano una ricchissima spiritualità che si frangeva sugli scogli della vita quotidiana dove perdevano lucidità e rigore e agivano come se fossero persone diverse. Io – come tutti i giovani – cercavo coerenza. Non era diverso nel mio campo professionale, pieno di ottimi professionisti in studio che diventavano esseri umani incasinati e incasinanti nelle loro vite private.
Le ragioni di questa frattura mi hanno sempre incuriosito. Come possiamo essere capaci in un’area e incapaci in aspetti altrettanto importanti della nostra vita? Direi che questa domanda mi ha fatto compagnia per tantissimo tempo. Forse è stata una delle domande che hanno orientato il mio interesse verso la psicologia.
Le risposte sono molteplici: la prima e più semplice è che le diverse sfere di competenza non vengono integrate. La seconda è che siamo un insieme di identità, a volte contrastanti tra loro. Uno nessuno e centomila, come direbbe Pirandello, sempre in cerca di un principio unificatore, di un regista che metta ogni aspetto della nostra personalità sul palcoscenico della vita.
Ad un certo punto però mi è sembrato chiaro che la salute sta nel trovare un principio unificatore piuttosto che curare ogni singolo aspetto, come siamo abituati a fare. Di solito interveniamo sulla parte che ci sembra deficitaria pensando che se guariamo quella poi andrà tutto bene. Non funziona ma insistiamo nel cercare di aggiustare singoli aspetti: la nostra vita sentimentale piuttosto che quella professionale o le nostre relazioni sociali
Credo che dovremmo cambiare prospettiva e passare – come dice Ilaria Capua – ad una logica circolare. Ossia al curare le nostre capacità di integrazione, di unificazione, I nostri modi di affrontare le cose devono essere trasversali perché più sono settoriali e specifici di un ambito della vita e meno contribuiscono alla nostra felicità. Questa è l’intenzione del libro che esce oggi “Mindfulness in 5 minuti. Pratiche informali di ordinaria felicità“. Portare la mindfulness nella vita quotidiana significa integrare, mettere in comunicazione il nostro mondo interno e il nostro mondo esterno. Significa credere che la felicità sia possibile. Non quella dei momenti unici e speciali. Quella di ogni giorno. Quella che ci fa dire, non vorrei una vita diversa da questa perchè questa è la mia vita.
Pratica di mindfulness: La pratica informale, da un discorso di Jon Kabat-Zinn
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves