
Io sulla poesia ho scritto tanti libri, ho fatto tanti laboratori, incontri, corsi, master, ma è sempre difficile parlare della poesia, evitando i trabocchetti della retorica, ma anche la banalità, o i linguaggi troppo oscuri. Perché la poesia è oscura, di quell’oscurità luminosa e numinosa di Eraclito, e tale deve rimanere, misteriosa nella sua essenza. E tuttavia bisogna trovare un modo perché la poesia arrivi all’orecchio del cuore e il cuore possa trasalire e dire: ecco, è proprio questo.
Non sono un poeta: ho scritto delle poesie
Allora vi dirò che cosa è per me la poesia e come nasce in me la poesia, quando nasce – non si può mai stabilire quando. A volte posso stare anche un anno, due anni senza scrivere una poesia. Non bisogna preoccuparsi, bisogna anche pensare che forse non se ne scriverà più. Ogni poesia può essere l’ultima, ma non lo si sa, come quando in una storia d’amore si fa l’amore per l’ultima volta ma che è l’ultima volta lo si sa solo dopo. Perciò a mio parere quella del poeta non può essere una professione, forse è addirittura azzardato dire: sono un poeta, sarebbe meglio e più realistico dire:ho scritto delle poesie.
Scendere nella profondità della psiche
Molta poesia di oggi nasce secondo me da una specie di flusso di coscienza simile a quello che è stato inaugurato dall’Ulisse di Joyce nel romanzo: è come veder emergere e galleggiare dalle
profondità dell’inconscio delle schegge, delle scintille, del materiale magmatico che ha improvvisi guizzi e zone d’ombra e tutto questo enorme flusso viene trascinato via come l’acqua di una grande fiume in prossimità del risucchio della cascata. E il poeta lo mette sulla pagina: è come un frammentarsi davanti ai nostri occhi del nostro rapporto con il mondo, della nostra psiche al
contatto con il mondo, colta e sorpresa nei suoi strati più profondi, quelli che sfuggono alla nostra percezione abituale. Si assiste ad una specie di disintegrazione del reale. A me invece interessa un processo in senso contrario: uno scendere nelle profondità della psiche per cogliere quei frammenti,quegli sprazzi, quelle schegge che invece possono servire a una costruzione, una costruzione magari aperta a tutti i venti, forzatamente lasciata a mezzo, e quindi in questo senso fantasmatica,
ma che si innalza dal nostro mondo di tutti i giorni verso un mondo altro, indeciso, incerto,inafferrabile in cui tutto potrebbe finalmente acquistare senso, e non lo acquista solo perché a un
certo punto ci mancano le forze per andare oltre. E noi restiamo lì, con la nostra poesia fra le mani dopo averla scritta, o letta, come se ci svegliassimo da un sogno, da uno di quei sogni che facevano i surrealisti, e ci diciamo: eppure ci eravamo andati vicini… vicini a che cosa? Vicini a qualcosa di così grande misterioso e inquietante che può metterci solo i brividi.
L’occhio
La grande poesia ci riempie di sensazioni che sono prima di tutto suoni ma poi aprono spazi e scenari dove la vita si insinua con un a vivezza, con una energia che raramente possiamo provare
nella realtà, perché siamo sempre distratti da qualcos’altro. la poesia non ci lascia distrarre. I suoi suoni ci catturano, ci infilzano, ci immobilizzano in uno stato di trance. Allora non venitemi a dire:la poesia è difficile, la poesia non si capisce: cosa c’è da capire quando uno è in trance? Perché certi versi famosi si conficcano dentro di noi così profondamente che non riusciamo più a liberarcene? Un verso come “la donzelletta”? una parola che sono sicura nessuno altro ha usato mai: cosa c’è dentro questa parola, dentro al suo suono, al suo ritmo inimitabile?
e chiare fresche dolci acque: lo sciacquio, le fonde, l’acqua sulla pelle, il sole che gioca con occhi di luce fra l’ombra dei rami, tutto questo c’è. E “silenziosa luna” : ecco quel silenzio misterioso ci insegna ad ascoltarlo, ad ascoltare il silenzio. Lo dovremmo ascoltare più spesso: il silenzio quanto più è totale tanto più è pieno di vibrazioni.
Ma nella poesia c’è anche il segreto delle immagini. Immagini che non sono mai ritagliate come quelle di un foto, ma hanno confini sfumati, si allargano in cerchi concentrici come i cerchi
sull’acqua, vibrano infinite come un eco. Nascono da un punto lontanissimo, che è come il loro seme, e diventano alberi fronzuti i cui rami si perdono nelle profondità del cielo.
C’è una cosa che mi affascina soprattutto nelle immagini della poesia: quando un’immagine che parte di un’esperienza della realtà va a coincidere con l’immagine del mito, con un simbolo o un
archetipo. Ma non in maniera volontaristica, prevista, organizzata, allora sarebbe un lavoro di tipo intellettuale, culturale, niente di più lontano dall’essenza della poesia che farebbe volentieri suo il motto di Socrate: io so di non sapere. In maniera inconsapevole.
Questo mi è accaduto più volte e mi sembra un fatto centrale perché è ai miei occhi la prova che lapoesia raggiunge il livello di quell’inconscio collettivo di cui parlava Jung, che è quello che lo ha scoperto, di quel patrimonio cioè dell’intera umanità in cui è depositato una sorta di alfabeto cosmico. Ed è anche la prova che questo inconscio collettivo esiste davvero quando si scenda
sufficientemente in profondità. Questo inconscio costituisce da sempre il legame, la fitta tessitura fra l’uomo e il cosmo, fra quello che è stato chiamato microcosmo e il macrocosmo. Un tessitura di significati, quelli che Baudelaire chiamava le corrispondenze. E’ come avere una chiave per decifrare un messaggio in codice, una chiave ahimè non completa, in cui molti segni sono
cancellati, assenti. ma pur sempre una chiave.
Un sovrasenso
Questo cosa significa? Io credo che possa significare che ogni cosa, ogni oggetto, e quindi anche ogni atto ha un sovrasenso che lo collega a infiniti altre cose, oggetti , atti venendo a costituire una sorta di rete, di corrispondenze appunto, in cui non esistono strappi. Ogni cosa è se stessa e altro da se stessa, più di se stessa, un significato immenso, universale ed eterno è racchiuso nel più piccolo seme , nella più piccola foglia. Questo modo di pensare non è quello che è diciamo più alla moda oggi, anzi , è in genere negato e forse perfino disprezzato dalla più parte dei poeti. Io comunque preferisco affidarmi alla mia esperienza piuttosto che alle teorie, e la mai esperienza mi dice questo.
Per questo io non credo per quanto riguarda la poesia alle teorie precostituite e per questo non ho mai potuto aderire a dei gruppi e a dei manifesti di poetica . Per me una poetica può esistere solo posteriori, come osservazione fenomenologica, può essere solo un’auscultazione dell’atto e del percorso creativo.
Perciò anche un’esperienza essenzialmente solitaria.
Una figura isolata
Per tutte queste ragioni credo di essere una figura piuttosto isolata nel nostro panorama poetico, che è dominato piuttosto da altre visioni, e quindi , pur avendo pubblicato altri libri da editori come Mondadori, Feltrinelli e Bompiani, per quello che riguarda la poesia sono sempre stata tenuta fuori dalla grande editoria e anzi ho faticato in questi anni ad essere pubblicata, tanto che Rosa alchemica è stata la prima raccolta corposa che ha visto la luce nel 2011 in Italia dopo Inganno ottico che erauscito nel 1985. Nel frattempo ho pubblicato all’estero oppure delle plaquette.
Normalmente non figuro nelle antologie che escono sono uscite in questi anni.
Tuttavia io vado avanti per la mia strada, che è l’unica cosa da fare.
Io ho scritto anche qualcosa nell’ambio della poesia civile, ha anche questo aspetto di libertà, di rivolta contro il potere ingiusto e oppressivo,proprio perché afferma dei valori che vanno al di là del soggettivismo individuale.
Autoreferenziali
Per concludere vorrei dire che abbiamo bisogno oggi più che mai della poesia perché stiamo diventando sempre più autoreferenziali, cioè non abbiamo più parametri altro che quelli soggettivi
oppure quelli imposti dall’establishment o dai media, il che spesso è lo stesso, abbiamo perso il senso, specie i giovani, di quei valori che sono posti al di là di noi, o così in profondità dentro di noi che hanno fatto dire in passato a molti mistici di molte religioni che nell’uomo c’è una scintilla del divino. Oggi questa scintilla sembra illuminarsi sempre più fievolmente, avremmo invece bisogno che da essa nascessero luce e calore. Il divino non in senso religioso ma in senso anche laico, ci viene sempre più a mancare: c’è un appiattimento della cultura e della vita di cui tutti stiamo soffrendo, prima e più che della penuria economica, e perciò non nascono quasi più grandi poeti perché non c’è più possibilità di ascolto, di silenzio. Quella scintilla viene travolta, soffocata,spenta dal troppo rumore e anche dalle troppe chiacchiere.
La poesia è fatta di parole ma parole che ci indicano la necessità di coltivare il silenzio interiore per la crescita della nostra anima, perché non appassisca, non ingiallisca e alla fine non cada come una foglia morta in una pozza sull’asfalto.
©Donatella Bisutti 2018