La diffusione, in occidente, delle pratiche meditative, ha aperto molte domande sulla loro efficacia. Questi sforzi sono stati supportati da nuove tecnologia di imaging che hanno notevolmente migliorato la nostra capacità di esplorare il cervello umano in attività. In questo caso porteremo una raccolta dei dati relativi alla mindfulness, dati che sono stati raccolti primariamente dai meditanti che si ispiravano alla tradizione mindfulness theravada, com’è quella praticata nei corsiMBSR.
Mindfulness e cervello
L’obiettivo della ricerca è stato capire quali sistemi neuronali vengono utilizzati per raggiungere gli stati meditativi e determinare gli effetti di una pratica regolare sul funzionamento e la struttura del cervello. Per fare questo è stato necessario fare una distinzione tra gli effetti di statoe gli effetti di tratto. Gli effetti di stato si riferiscono ai cambiamenti che avvengono durante il corso della meditazione, mentre gli effetti di tratto si verificano gradualmente nel tempo come effetto della pratica quotidiana e sono durevoli perché frutto di trasformazioni stabili e durature nell’attività e nella struttura cerebrale.
Il problema è che la meditazione varia momento per momento e una persona può passare da uno stato di meditazione profonda ad un momento in cui pensa ad una commissione da fare, per poi tornare di nuovo ad essere profondamente concentrato. Nessuna tecnica di ricerca può permetterci, attualmente di registrare il passaggio da un livello profondo di concentrazione ad uno più superficiale anche se le attuali tecniche di neuroimaging possono essere in grado di rilevare le variazioni dell’attività neuronale a livello di un millisecondo.
Tecniche di neuroimaging
Una delle tecniche più usate è la fRM, ossia la risonanza magnetica funzionale che misura i cambiamenti nel flusso sanguigno di specifiche regioni cerebrali, dando così una misura indiretta delle aree coinvolte nell’azione in corso. Altre due tecniche di osservazione dell’attività cerebrale sono la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la tomografia ad emissione di fotoni singoli (SPECT). In questo caso l’attività neuronale viene misurata registrando l’attività di un isotopo radiattivo iniettando nel sangue dei soggetti esaminati.
Reti neuronali impegnate durante la meditazione
La meditazione è una attività multiforme perchè coniuga un’intensa concentrazione con l’apertura ad esperienze sensoriali, emozioni e pensieri. Alcune tecniche poi, come la pratica di metta, comprendono poi lo sforzo di generare particolari stati mentali. Al fine della ricerca delle reti neurali attivate è stata fatta una distinzione tra i processi interessati alla concentrazione e quelli coinvolti con la consapevolezza. Una importante area di attivazione è risultata essere la corteccia dorsolaterale prefrontale, una zona associata all’attenzione e alle capacità esecutive decisionali. E’ stato frequentemente rilevato anche un incremento di attivazione della corteccia cingolata, una struttura che svolge un ruolo primario nel processo di integrazione tra attenzione, motivazione e controllo motorio.
Un’altre regione che si attiva durante la meditazione è l’insula anteriore che è associata all’enterocezione, cioè alla percezione delle sensazioni viscerali come la fame, la sete e al bilanciamento dell’attività cardiaca e respiratoria. L’insula è anche coinvolta nell’elaborazione delle sensazioni corporee transitorie, contribuendo alla formazione del nostro senso di “Sé”, oltre che funzionare da interruttore principale di diverse reti di attenzione. L’attività dell’insula risulta alterata nei disturbi depressivi suggerendo così come, una sua funzionalità normale, sia rilevante ai fini della salute psichica.
Neuroplasticità e mindfulness
La vera domanda che dovremmo porci, domanda che fino agli anni ’90 avrebbe avuto una risposta certamente negativa, è se il cervello adulto può cambiare. La convinzione largamente diffusa che l’unico cambiamento possibile fosse la perdita di neuroni conseguente all’età ha iniziato a subire un radicale mutamento proprio grazie alle ricerche condotte con le nuove tecniche di neuroimaging che hanno documentato la natura altamente plastica e flessibile del cervello adulto umano.
Nel complesso la ricerca mostra che il cervello adulto è molto plastico, con cambiamenti a livello strutturale che possono avvenire nell’arco di poche settimane. Risultati incoraggianti sia per le neuroscienze che per la pratica clinica, che suggeriscono che le pratiche di mindfulness sono in grado di modificare la funzione neuronale anche in tempi relativamente brevi.
Nel 2005, 20 soggetti che praticavano mindfulness da lungo tempo e 15 soggetti di un gruppo di controllo, sono stati sottoposti ad un confronto dello spessore corticale. Nei meditatori lo spessore corticale nella porzione anteriore dell’insula e nella corteccia sensoriale, risultava di gran lunga superiore ai soggetti a loro appaiati per sesso, età, razza e anni di istruzione. E’ interessante sottolineare che un ridotto volume dell’insula è collegato a diverse forme psicopatologiche come ansia sociale, fobie specifiche, sindrome post-traumatica da stress (PTSD) e schizofrenia. Nei meditatori risultava essere più sviluppata anche la corteccia prefrontale, che abbiamo visto essere dedicata ai processi decisionali. Altre ricerche successive hanno trovato modificazioni significative anche nell’ippocampo e nel giro temporale inferiore sinistro. L’ippocampo ha un ruolo centrale nei processi di memoria mentre il lobo temporale inferiore è coinvolto nella costruzione di un senso di sé come agente.
Una recente ricerca aveva come oggetto il tronco cerebrale, una regione deputata al controllo delle funzioni di base come la respirazione e il battito cardiaco. Questo studio ha suggerito un aumento della materia grigia nel midollo allungato del tronco cerebrale. Anche se i dati sono ancora preliminari, l’aumento della materia grigia in queste regioni potrebbe suggerire un aumento dell’innervazione dei centri corticali, con un conseguente miglior controllo top-down dei processi automatici.
a cura diNicoletta Cinotti
Questi dati sono stati tratti da “Mindfulness e neuroplasticità” in Baer R.A., Come funziona la mindfulness, Cortina editore.
Per ulteriori approfondimenti si consiglia:
Cahn K.L., Polich J., (2006), Meditation states and traits: EEG, ERP and neuroimaging studies, in Psichological Bullettin, 132, 180-211.
Austin J.H., (1998), Zen and the brain: Toward an understanding of meditation and consciousness. MIT Press, Cambridge, MA
Austin J.H., (2006), Zen-brain reflections. MIT Press, Cambridge, MA