
Hai mai la sensazione di vivere in un costante stato di rumore esterno e di rumore interno? Pensi mai – quando cessa il rumore – “che pace”? Sei anche tu sensibile ai suoni e cerchi, per riposarti, una condizione di silenzio?
Allora questo articolo fa per te perché voglio parlare proprio di come i suoni e il silenzio influiscono sulla nostra sensazione di serenità (quoziente di felicità) e di come la chiarezza percettiva sia la base corporea della felicità.
Da dove nasce il rumore interno
Il rumore interno è prodotto dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni sia perché i pensieri compaiono spesso sotto forma di voce interna che parla sia perché le emozioni corrispondono ad una attivazione che è simile al ronzio di un vecchio frigorifero. Quando ero piccola il frigorifero dei miei genitori faceva una sorta di ronzio ogni volta che doveva abbassare la temperatura, dopo una apertura. Quando aveva riportato la temperatura al livello giusto si fermava. Io aspettavo di sentire il punto in cui si fermava perché quell’attimo di passaggio tra il suono e il silenzio era un vero piacere. Le nostre emozioni funzionano un po’ nello stesso modo: alterano il nostro livello di attivazione. Se sono emozioni rilassanti fanno prevalere le sensazioni del corpo e danno un generale senso di benessere – il suono del motore è neutro o piacevole – e le nostre difese emotive si abbassano. Se invece sono emozioni ad alta carica – che siano positive o negative poco importa – il motore entra in funzione e da una sensazione interiore simile ad un suono continuo. Quel suono (metaforicamente parlando) è un segnale che ci chiede di “regolare la temperatura”. Per regolare la temperatura abbiamo bisogno di saper riconoscere di cosa si tratta: questo è il primo elemento della chiarezza percettiva: saper riconoscere cosa ci sta succedendo.
[box] Primo passo: sai riconoscere che cosa sta succedendo dentro di te?[/box]
Come calmare il rumore interno
Una volta che ci siamo accorti che stiamo provando qualcosa abbiamo bisogno di fare tre – spesso molto rapidi – passaggi: saper nominare cosa stiamo provando (perché l’inquietudine di non sapere accresce il rumore interno); riconoscere se ci spinge ad una azione; scegliere se agire. Questi tre passaggi molto frequentemente sono semi-inconsapevoli: li facciamo facilmente e non richiedono la nostra attenzione. O meglio, se ci riescono non richiedono tanta attenzione. Se non ci riescono il rumore interno aumenta: riprendendo la storia del frigorifero il rumore aumenta perchè non abbiamo chiuso bene lo sportello. Quindi torniamo indietro per chiudere lo sportello, cioè riportiamo l’attenzione all’interno e ripetiamo il primo passo – riconosco cosa mi sta succedendo – e vado avanti: nomino cosa succede e mi accorgo se mi spinge ad agire; scelgo se agire.
[box] Secondo passo: nomino mentalmente quello che provo e riconosco l’impulso all’azione scegliendo se agire[/box]
Accettare quello che non è possibile cambiare
Può darsi che non ci piaccia affatto quello che sta succedendo. E che, come soluzione, scegliamo di ritenerlo in-accettabile. Non accettare è sempre un piccolo delirio: non accettiamo quello che è già presente e che non possiamo cambiare. Come delirio niente male, vero? Il desiderio di non accettare qualcosa è sempre un desiderio onnipotente: non possiamo rifiutare qualcosa che è già presente però ci illudiamo di poterlo fare. Se entriamo nella lotta per l’inaccettabilità, l’inammissibilità, il rumore aumenta a dismisura. Diventa una specie di rombo e spesso attiva schemi di reazione che producono ancora più rumore perchè coinvolgono altre persone. Insomma quando non accettiamo qualcosa il picco del rumore interno è al massimo: può dare proliferazione mentale, comportamenti impulsivi, agitazione motoria.
Quando non accettiamo qualcosa il rumore interno è al massimo
Avere la forza di cambiare quello che è possibile cambiare
Ovviamente ci sono molte cose che possiamo e vogliamo cambiare. Ce ne accorgiamo perchè il rumore interno aumenta e porta la nostra attenzione su questi problemi. Alcuni sono di immediata soluzione, altri richiedono tempo e pianificazione. Saper distinguere quello che è possibile cambiare da quello che, invece, è necessario accettare e non è trasformabile, non è operazione da poco. La buona notizia è che lo facciamo continuamente e che ci permette di rispondere a due azioni base della regolazione emotiva: attivare o confortare. Le nostre emozioni infatti, prima ancora che un significato, hanno una funzione base: ci attivano e ci portano verso l’azione oppure richiedono consolazione. Queste due azioni base sono facilmente riconoscibili nella cura di un neonato: hanno bisogno di essere attivati o consolati. Con gli adulti la faccenda diventa molto più complicata: ecco perchè abbiamo bisogno di chiarezza percettiva. Abbiamo bisogno di capire se quello che proviamo richiede un’azione – attivarsi – o una consolazione – accettare
[box] Terzo passo: saper riconoscere quello che possiamo cambiare e quello che dobbiamo accettare. Ovvero la differenza tra attivarsi e consolarsi[/box]
Come la mettiamo con il rumore esterno?
Fino a qui abbiamo parlato di quello che succede con il rumore interno ma non possiamo dimenticare che viviamo in una costante lavatrice – mi vengono tutte metafore domestiche! – di suoni, stimoli, desideri e impulsi che sono offerti dai rumori esterni. Da un certo punto di vista possiamo dire che niente è più anti-depressivo che vivere in città. Da un altro punto di vista possiamo dire che niente è più depressivo che vivere in città. Siamo continuamente stimolati e spesso iper-stimolati dal mondo esterno e questo, nel tempo, può portare all’esaurimento dovuto proprio al fatto che siamo sommersi da una stimolazione continua. Che fare? Qui la risposta è semplice e difficile insieme: rinunciare. Rinunciare ad essere sempre connessi, rinunciare ad essere sempre stimolati. ossia darsi periodici periodi di silenzio, che vanno oltre il sonno notturno. Potremmo darci una regola sul numero di volte che guardiamo il cellulare. Una regola sul tempo in cui siamo connessi (i genitori rimproverano l’iperconnettività dei figli ma spesso quelli veramente sempre online siamo noi!). E darsi almeno uno spazio di silenzio periodico: una camminata nella natura, una gita in campagna, un riposo. Perchè, come dice Daniel Barenboim, l’orecchio è l’organo più intelligente del corpo. Ma – questo lo dico io – non dobbiamo abusare della sua intelligenza.
In ogni caso se siamo in un ambiente troppo rumoroso non riusciamo a sentire: questa non è solo una metafora. Troppi stimoli riducono la chiarezza percettiva fino ad azzerarla
Se però siamo dei fissati del rumore esterno dobbiamo fare attenzione: siamo sicuri che il rumore esterno non ci dia tanto fastidio proprio perchè abbiamo tanto rumore interno? Siamo sicuri di non essere vittime di noi stessi e del rumore che fanno i nostri sentimenti avversativi?
[box] Quarto passo: ogni tanto regalati il silenzio[/box]
La profondità dell’attenzione
Inutile dire che quando parliamo di suoni parliamo di attenzione: nulla più dei suoni è capace di attirare la nostra attenzione. Questo li rende estremamente interessanti per la pratica di mindfulness (Ecco due pratiche per te: Corpo, respiro, pensieri, suoni e I suoni del silenzio). Gli eventi sonori sono ottimi esempi di cosa vuol dire essere radicati nel presente: sono irripetibili, imprevedibili, proprio come la nostra vita. Se siamo attenti i suoni sono eventi percettivi molto ricchi: hanno colore, profondità, ritmo. Se siamo distratti i suoni diventano una massa indistinta e si trasformano in rumore. Un rumore che stressa la nostra vita proprio perchè diventa un sottofondo. Che fare?
La risposta è semplice: dare profondità alla nostra attenzione. Ossia rimanere il tempo necessario perchè sia possibile avere chiarezza. Sull’attenzione c’è una distinzione importante da fare: spesso confondiamo il dare e ricevere attenzione: siamo ossessionati dall’idea di ricevere attenzione e ci dimentichiamo di dare attenzione. Questo ha un effetto multifattoriale: ha effetto sulla nostra crescita cognitiva, sulle nostre relazioni e sul nostro sviluppo emotivo
Questi aspetti – ricevere attenzione e dare attenzione – sono inclinazioni abrasivamente opposte. Per molti di noi andare avanti significa trovare modi per ricevere attenzione. Ma troppo spesso, una volta che siamo andati avanti, siamo ancora coinvolti nel processo di ricevere attenzione anziché in quello di dare attenzione in un modo che diventa controproducente, Mark Nepo
Il primo passo, se vogliamo avere una chiarezza che conduca verso la serenità e, perché no, verso la felicità, non è ricevere attenzione: è dare attenzione a quello che accade nelle cose e nel mondo relazionale.
Siamo così ossessionati dal ricevere attenzione che, a un certo punto sviluppiamo una capacità manipolativa e non una vera e profonda capacità di connessione. E una volta raggiunta la posizione in cui ci sentiamo amati, continueremo a prendere abusando e indebolendo chi ci ama. Mark Nepo
[box] Quinto passo:dare attenzione a quello che accade nelle cose e nel mondo relazionale. [/box]
Concludiamo qui questo breve viaggio sulla chiarezza percettiva con una considerazione:concludiamo con l’attenzione che, però è anche l’inizio del nostro viaggio. Come spesso accade, inizio e fine si toccano.
Nelle prossime settimane proseguiremo con un approfondimento sulle emozioni che fanno rumore. Se vuoi avere un’esperienza pratica ti segnalo il prossimo ritiro “La cura del silenzio”: un’ottimo modo per passare dalle parole ai fatti!
© Nicoletta Cinotti 2018 Photo by Mohammad Metri on Unsplash
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