
Ho passato il fine settimana con i miei genitori. Da tempo sono diventati i miei bambini. Mi aspettano proprio come un bambino aspetta la mamma alla scuola materna e accetta di rimanere solo dopo lunghe promesse di tornare a prenderlo.
La loro vecchiaia ha tolto tante cose e ha permesso a me di tornargli vicino. Osservare il processo di decadimento cognitivo è un modo per vedere gli strati della mente che, come ere geologiche, hanno dato vita al loro carattere. Così osservo la natura delle difese, ormai non più nascoste da un Sé integro. Mi mostrano per la prima volta con totale sincerità, di cosa avevano paura e come guardavano agli eventi della vita. Mi regalano quell’intimo delle cose che ha sempre un sapore di onestà e veridicità. Nella sua confusione mia madre cerca le azioni abituali e le porta avanti con tutta la sua natura piena di impeto e passione. Se non fosse nata in un’altra epoca poteva diventare un’estremista ribelle di qualche fazione politica a caso. tanto la ragione per lei è sempre stata secondaria rispetto alla passione. Lui la guarda tenero, collaborativo e intelligente, domato dal suo carattere o, forse, ormai libero da qualsiasi illusione di potere. Si amano – mi domando – o anche il loro amore è cambiato?
Quando perdiamo la memoria, quando perdiamo le funzioni operative della nostra intelligenza rimane la struttura che le difese hanno costruito e capisci che tutte le informazioni che riceviamo dal mondo e da noi stessi hanno un filtro: quello delle emozioni.
Così raccontavo al figlio che, per l’ennesima volta, è stato chiamato nel cuore della notte dai Carabinieri dov’era sua madre convinta che ci fossero, di nuovo, dei ladri in casa. Tutta la sua vita ha nascosto la sensazione di essere stata derubata dell’infanzia che meritava e oggi rimane solo quello. Non siamo esseri razionali. O almeno siamo razionali nell’organizzare le informazioni che passano dopo il filtro delle difese. Se non sciogliamo quelle difese ora, nel tempo ce le ritroveremo davanti perché la rabbia e la paura urlano sempre più forte della ragione.
La breve vita dei nostri antenati: poesia del giorno
Non arrivavano in molti fino a trent’anni.
La vecchiaia era un privilegio di alberi e pietre.
L’infanzia durava quanto quella dei cuccioli di lupo.
Bisognava sbrigarsi, fare in tempo a vivere
prima che tramontasse il sole,
prima che cadesse la neve.
Le genitrici tredicenni,
i cercatori quattrenni di nidi tra i giunchi,
i capicaccia ventenni –
un attimo prima non c’erano, già non ci sono più.
I capi dell’infinito si univano in fretta.
Le fattucchiere biascicavano esorcismi
con ancora tutti i denti della giovinezza.
Il figlio si faceva uomo sotto gli occhi del padre.
Il nipote nasceva sotto l’occhiata del nonno.
E del resto essi non contavano gli anni.
Contavano reti, pentole, capanni, asce.
Il tempo, così prodigo con una qualunque stella del cielo,
tendeva loro una mano quasi vuota
e la ritraeva in fretta, come pentito.
ancora un passo, ancora due
lungo il fiume scintillante
che dall’oscurità nasce e nell’oscurità scompare.
Non c’era un attimo da perdere,
domande da rinviare e illuminazioni tardive,
se non le si erano avute per tempo.
La saggezza non poteva aspettare i capelli bianchi.
Doveva vedere con chiarezza, prima che fosse chiaro,
e udire ogni voce, prima che risonasse.
Il bene e il male –
ne sapevano poco, ma tutto:
quando il male trionfa, il bene si cela;
quando il bene si mostra, il male si acquatta.
Nessuno dei due si lascia vincere
o allontanare a una distanza definitiva.
Ecco il perché di una gioia sempre tinta dal terrore,
d’una disperazione mai disgiunta dalla speranza.
La vita, per quanto lunga, sarà sempre breve.
Troppo breve per aggiungere qualcosa. Wislawa Szymborska
Pratica del giorno: Famiglie interiori
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves