
La vita ci offre continui scalini, discrepanze tra quello che c’è e quello che vorremmo. Scalini che a volte sono inevitabili, a volte dolorosi, a volte una sorpresa che ci rende immediatamente presenti.
Credevamo che ci sarebbe stato qualcosa e invece scopriamo la mancanza. Allora possiamo correre a correggere questa mancanza, abituati come siamo a chiedere un menù preciso anche alla vita. Oppure stare in quel vuoto segnato dallo scalino senza correggerlo. A volte rischiando di cadere, a volte cadendo.
Perché quel vuoto è un vocativo, esprime un richiamo, una invocazione. Ci mette nella condizione di chiedere a noi stessi cosa ci fa sentire quella mancanza. Forse ci fa chiedere anche perché evitiamo così tanto la mancanza.
Se saltiamo il vocativo, il senso della mancanza, rischiamo di riempirci a caso, con una storia qualsiasi, con una risposta qualsiasi. Perché essere sempre pieni? Perché temere il vuoto, visto che sappiamo quanto la mancanza può essere fruttuosa; quanto sia necessaria per la crescita e per la creatività.
Forse in quel vuoto affiorano le parole che non abbiamo detto, i sentimenti che abbiamo evitato, gli incontri che abbiamo rifiutato. In quel vuoto affiora quell’intimo, a volte oscuro e selvaggio, che cerchiamo di tenere in gabbia con il nostro pieno. Affiora l’inquietudine e l’ardore. Affiorano le parole che non abbiamo detto e le persone a cui non le abbiamo dette. Affiora l’incompiuto che non sempre può compiersi. Forse, quando c’è uno scalino, tra quello che vogliamo e quello che c’è, affiorano parole diverse. Forse è dagli scalini che nascono le preghiere.
Ciò che resta è la lingua della poesia. Una lingua che non dice nulla ma chiama. Il vocativo è quella parte della lingua che non dice nulla ma chiama, anzi interrompe il quotidiano, crea una rottura, è una parte della lingua che non cade nel discorso… Chiama ciò che si perde, ciò che si è perduto, e ciò che si perde è di dio“. Giorgio Agamben
Pratica del giorno: Scrivi una breve lettera con le parole che non hai detto. Con le storie che non hai raccontato. Non sempre è una lettera che scrivi ad un altro. Spesso è una lettera che scrivi a te.
© Nicoletta Cinotti 2019 Scrivere la mente nel territorio dell’amore
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