
L’avidità è una strana condizione: ci spinge a cercare qualcosa che abbiamo già perché abbiamo perso il gusto della sazietà e dell’appagamento. In modo un po’ paradossale, continuiamo a mangiare anche se abbiamo mangiato abbastanza, continuiamo a cercare anche quando abbiamo già trovato. Combattiamo contro il senso di insicurezza anche se dovremmo ritenerci sicuri. Dal punto di vista emotivo è un estremo tentativo di lotta contro un senso incombente di perdita, povertà, depressione. Infatti il sistema di ricerca stimola, a livello cerebrale, la produzione di serotonina.
La serotonina è un neuromediatore che svolge diverse funzioni nel nostro organismo: è coinvolta nel metabolismo osseo, nello sviluppo e riparazione degli organi come fegato e cuore, regola la temperatura corporea, il ritmo cardiaco e respiratorio. Nel sistema nervoso centrale ha funzioni che vanno dalla regolazione del tono dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, della sessualità, all’empatia, e altre funzioni cognitive come creatività e appetito. Quando siamo depressi i recettori della serotonina diventano incapaci di captarla e utilizzarla. In molti casi, molto prima che si possa parlare di depressione, si incominciano ad agire comportamenti che hanno lo scopo di stimolarci. L’avidità è uno di questi comportamenti. Ogni volta che riusciamo ad avere qualcosa che vogliamo abbiamo una piccola ricompensa – emotiva e fisica – mediata da un altro neuro-mediatore, la dopamina. Una ricompensa che agisce come un premio nel senso letterale del termine.
Ma, al di là di questa chimica dell’umore chi agisce la propria avidità – in qualunque campo la stia agendo – ha un problema di incredulità: non crede di essere riuscito ad ottenere quello che desidera, non crede che riuscirà ad ottenerlo ancora e il periodo di ricerca della soddisfazione è esageratamente lungo rispetto al periodo di appagamento e soddisfazione. Così, se ci rendiamo conto che siamo sotto l’influsso dell’avidità – un influsso che si accompagna sempre a maggiore incertezza e insoddisfazione – non c’è tanto di più da fare che qualcosa di assolutamente paradossale: rallentare e allungare il tempo che dedichiamo alla soddisfazione. È uno sforzo titanico perché la paura che sta dietro l’avidità ci spingerebbe a correre. Ma, come sempre, la nostra mente funziona per contrapposizione e spesso abbiamo bisogno proprio dell’opposto di quello che ci stiamo dando.
Ci possiamo accorgere che la mente è sempre impegnata a far progetti; se riusciamo ad osservare questa attitudine con una attenzione estremamente accurata, possiamo divenire consapevoli del sottile sentimento che si suscita quando ci accorgiamo che tutto quel nostro progettare è accompagnato da uno stato di paura: e, in genere, quando riconosciamo pienamente la paura, il bisogno di progettare svanisce. Joseph Goldstein, Jack Kornfield
Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna
© Nicoletta Cinotti Parole che si poggiano sul cuore