
Sbagliare è inevitabile: è il primo atto di qualsiasi apprendimento ma è anche il primo atto di qualsiasi crescita.
Se siamo tolleranti per gli errori dell’inizio dopo un po’ decidiamo che non dovremmo più sbagliare. Facciamo così con i bambini e con noi stessi. Anzi a volte consideriamo gli errori una cosa da ragazzi, un atto di immaturità. Non ci piace sbagliare perché troviamo conforto nel ruolo di coloro che capiscono o nella posizione di chi scopre gli errori degli altri e li manifesta con disapprovazione o sdegno. Confesso che amo i miei errori e che, molto spesso, li considero la parte migliore di me. Quella senza strategie, più autentica e sincera. Non credo che la vita e gli anni ci rendano più esenti da errori: spero che mi renderanno più saggia e non più perfetta. Perché la nostra rabbia, la nostra disapprovazione verso gli errori nascono da lì: dall’idea che dovremmo essere perfetti e che dovremmo ricoprire un ruolo ideale.
Così mi sono chiesta come mai, malgrado ci sia tanta passione per non sbagliare, in tutti i romanzi, i film, le narrazioni molta della storia ruoti proprio attorno alla scoperta dell’errore. L’errore è il motore in Edipo Re, in Orgoglio e pregiudizio ma anche nel Doctor House. Cosa ci attrae nell’errore tanto da renderlo il protagonista occulto dei nostri pettegolezzi e delle grandi opere di narrativa?
Il fatto è che sbagliare – che ci piaccia o no – ci porta più vicini alla realtà e l’attimo del riconoscimento dell’errore è un attimo di vera illuminazione. Non è il momento in cui gli altri ci vogliono convincere che abbiamo sbagliato – quello spesso è solo un momento di umiliazione. Parlo proprio dell’attimo in cui vediamo, sentiamo, odoriamo con chiarezza dove e cosa abbiamo sbagliato. In quel momento è come se tutto si aprisse, come se arrivasse un lampo di luce ad illuminarci. Accade perchè, proprio in quel momento di riconoscimento, diventiamo più grandi e sentiamo, nel corpo, la bellezza di quella crescita. Potranno anche esserci aspetti dolorosi ma senza quell’errore non avremmo fatto quella crescita, non saremmo diventati chi siamo oggi.
Aristotele usava un termine per descrivere un cambiamento improvviso: peripeteia che letteralmente significa punto di svolta. Ma, secondo Aristotele c’è un ingrediente aggiuntivo anagnorisis – o riconoscimento – il momento in cui un personaggio scopre e riconosce il proprio errore: quello è il momento più alto perchè il personaggio ribalta il suo modo di vedere la realtà. Henry Shukman
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