
Adesso abitiamo al quarto e ultimo piano di un vecchio condominio nella prima periferia di Bologna. La cosa bella di abitare quassù è che il pianerottolo ha il soffitto altissimo, illuminato da due grandi finestre. Anche nelle giornate più buie, quando arrivi in cima alle otto rampe di scale ti sembra di esserti conquistato un pezzetto di paradiso, perché c’è sempre luce quassù e perché tutto il pianerottolo è letteralmente invaso dalle piante. Ce ne sono a ogni angolo, lungo le pareti, di fianco alle porte. La mia vicina ha uno scaffale a tre ripiani completamente ricolmo. Quella con il pollice verde è lei, non io, che ne tengo giusto un paio proprio fuori dalla porta.
La sera, quando c’è poco via vai per le scale, i due gatti di casa escono a passeggiare nel pianerottolo. A loro piace aggirarsi nei paraggi delle porte dei vicini, annusare con meticolosa attenzione gli stuoini, acquattarsi tra i vasi, poi all’improvviso correre come i pazzi giù per le scale per fermarsi un paio di piani più sotto. Insomma quelle cose che fanno i gatti.
Di solito è mio marito che attende a questo rito: quando è ora, apre la porta e resta sulla soglia a guardarli. Il motivo per cui è necessario sorvegliarli è che uno dei due ha una certa tendenza a mordicchiare le foglie delle piante. Ovviamente non le mie, sceglie sempre quelle della vicina. Lei si è lamentata più volte e io le ho dato la mia parola che non sarebbe più successo.
Confesso di sentirmi un po’ seccata, mi sto rilassando sul divano con un libro e non muoio dalla voglia di alzarmi per aprire la porta e restare in piedi sulla soglia a controllare che i gatti non facciano guai. Intanto loro si sono piazzati davanti alla porta a protestare; è tutto un miagolare, raschiare lo stipite e saltare cercando di raggiungere la maniglia.
Non ne ho voglia, ecco; penso che potrei limitarmi a ignorarli finché non si stancheranno di miagolare. Non sarà la fine del mondo se per stasera rinunciano alla loro passeggiata.
Però mi tornano in mente Russ Harris e il suo cane, e penso che potrei fare come la mattina delle analisi del sangue: invece di affrontare questo compito colma di irritazione, decido di affrontare la situazione in modo mindful. Certo, potrei anche tenere la porta chiusa e non farli uscire per stasera (basta non confessarlo a mio marito), ma per quei due questo è l’unico momento della giornata in cui possono evadere dall’appartamento. Non posso negarglielo.
E poi chi l’ha detto che devo stare in piedi? Comincio a capire una cosa: quando siamo impegnati a evadere mentalmente da una situazione che non ci piace, diventiamo anche un po’ più stupidi. Ci sentiamo seccati, lasciamo spazio all’irritazione e alla fretta, e nemmeno ci vengono in mente quelle piccole soluzioni creative che possono alleggerirci la vita. Quando invece sei veramente presente alla situazione – qualsiasi essa sia – e ti accingi ad affrontarla con calma e attenzione, allora è più facile che ti vengano in mente piccole grandi idee per migliorare le cose.
Le soluzioni belle, le intuizioni, le idee geniali, ne sono sicura, vengono solo da persone che guardano alle cose per come sono, le accettano e le vivono fino in fondo. Al contrario, finché la mente percorre sentieri già battuti, con il pilota automatico innescato, cercando come di consueto di togliersi di torno i fastidi prima possibile, allora continuiamo a fare come si è sempre fatto, senza vedere le opportunità e le scoperte che ci stanno davanti.
Prendo una sedia e la piazzo sull’ingresso. Apro la porta, mi tiro dietro il libro, e via, eccoci pronti per la mezz’ora d’aria dei mici. Non è comodo come stare sul divano, ma è più che accettabile. Si respira un’aria profumata, lavata dal temporale del pomeriggio, lieve e appena tiepida, e tutto sommato mi sento bene.
Chissà cosa penserebbero i vicini salendo le scale se mi trovassero lì a leggere abbarbicata su una seggiolina davanti alla porta di casa spalancata sul pianerottolo. La cosa mi fa sorridere, e non provo il benché minimo imbarazzo all’idea. Mi torna in mente tutte le volte che in Sicilia ho visto le donne portare le sedie fuori dalla porta di casa e mettersi lì, sulla strada, per sfuggire alla calura delle quattro mura durante le sere d’estate. Restavano a lungo sedute lì, su queste sedie di legno con la seduta in paglia, un po’ sbilenche, vecchie di decenni, a lavorare all’uncinetto o a farsi aria con il ventaglio, con le loro vesti scure, chiacchierando in dialetto di pettegolezzi di paese. E sempre c’erano gatti e bambini che si muovevano attorno, giocando a rincorrersi.
Mentre sorrido a questi ricordi, mi rendo conto, così all’improvviso, di essere felice.
Questo momento è perfetto e io sono esattamente là dove voglio essere. I pensieri tacciono e al loro posto parlano i sensi. La temperatura, gli odori, le piante della mia vicina così rigogliose, i rumori che a tratti arrivano dagli altri appartamenti, i gatti acquattati sulla tromba delle scale con i colli allungati per guardare sotto. È tutto assolutamente perfetto, un presente di pura perfezione, nulla in più o di diverso da desiderare.
Nel silenzio sento il ticchettio dell’orologio della cucina e trovo che sia una gradevolissima compagnia. Quando si spegne la luce delle scale non vado nemmeno a riaccenderla, riesco a leggere anche nella penombra, ed è tutto ancora più bello.
Tutto andrà bene e non c’è assolutamente nulla di cui avere paura. Non perché il futuro sarà roseo e privo di problemi – in nessun modo posso sapere cosa mi aspetta – ma perché sono diventata consapevole, in modo profondo e inatteso, che qualsiasi cosa mi riservi il domani, sarò capace di affrontarla; ed è per questo che ora posso rilassarmi e smettere di avere paura. Marina Innorta

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