
Circa una settimana fa, a Genova, parcheggio la macchina in Corso Podestà. Penso di essere fortunata ad aver trovato parcheggio proprio accanto al parchimetro. Esco a corsa dalla macchina, senza mascherina, perchè tanto era proprio lì e non c’era proprio nessuno. E io ero proprio in ritardo. La macchinetta non funziona. Per tre volte mi dice che c’è un errore tecnico. Mi guardo attorno smarrita e vedo avvicinarsi un parcheggiatore. Penso che quello è il mio giorno fortunato: i parcheggiatori sono rari come le persone sopra i 2 metri ( e a differenza delle persone alte non li vedi mai!). Lo fermo al volo e gli dico che non riesco a fare il tagliando. È pure gentile. Nessuna paura – mi risponde – dobbiamo andare all’altro parchimetro, quello nuovo ( a me sembrano tutti vecchi uguali). Venga. E incomincia a camminare veloce verso la macchinetta in questione. Ma non ho la mascherina, gli grido correndogli dietro. Se per quello non ce l’ho nemmeno io! Prosegue camminando veloce con il mio Bancomat in mano. Arriviamo al parchimetro e inizia ad armeggiare con l’orario. Stiamo a debita distanza ma io mi sento in pericolo come se avessi infranto il più grande dei tabù.
Siccome non è vero che era il mio giorno fortunato, arriva un vigile che inizia a chiederci spiegazioni sulla mascherina. Nel frattempo lo convinco che è stata una momentanea insubordinazione e corro alla macchina, a quel punto non più tanto vicina – a prendere la mascherina, lasciando il mio bancomat ancora nelle mani del parcheggiatore (dentro di me dicendomi che sarebbe meglio fare le cose con più calma e che, invece, sono sempre un po’ sul filo del rasoio…e tutte le inutili amenità che pensiamo in quei frangenti). Torno al parchimetro – la faccenda sta diventando una sorta di urban running – e scopro che si è radunata una folla. Il parcheggiatore che discute con il vigile. Due persone che commentano che tanto quando c’è vento (a Genova c’è sempre vento) la mascherina non serve. Un altro paio di passanti che dice che le tariffe del parcheggio sono esose e che le macchinette non funzionano mai. Qualcun altro che approfitta dell’occasione per fare un po’ di vita sociale (finalmente). Io che, a quel punto, mi domando che attori sceglierei se fossimo in un film di Garrone (veramente è una scena più da Verdone ma vista la location!) e spero che il bancomat non venga risucchiato dal parchimetro, visto che sta lì dentro da almeno 10 minuti buoni. Intanto, dentro di me, non posso fare a meno di ridere per l’assurdità di tutta la situazione mentre il vento sparge gli eventuali droplet in maniera capricciosa.
Morale della storia
- quando siamo stressati ci basta poco per arrabbiarsi
- Il covid e le mascherine sono un bello stress
- abbiamo bisogno di dare la colpa a qualcuno quando ci sentiamo impotenti
- siamo tutti sulla stessa barca ma cerchiamo di dire che la nostra barca è diversa.
- abbiamo bisogno di contatto sociale più di quello che crediamo anche se siamo genovesi. Almeno per mugugnare, un po’ di folla ci vuole…
Happy end
- Il vigile non mi ha fatto la multa ma mi ha detto che alla mia età dovrei stare più attenta, sono a rischio di morte (proprio così ha detto)
- il parcheggiatore non mi ha fatto pagare tutta la sosta ma mi ha abbonato 1,30 h perchè ha detto che avevo già speso abbastanza così!
- per me Corso Podestà rimarrà il posto della memoria e tutte le volte che passerò di lì non potrò fare a meno di ridere o sorridere
- alla fine, anche quando siamo arrabbiati, dentro di noi abbiamo un cuore buono e solidale.
- Ho recuperato il bancomat integro
- Non ho preso il Covid e quindi non sono morta come aveva predetto il vigile. Però adesso la mascherina la tengo anche quando guido da sola in macchina!
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2020 Il protocollo MBSR