
Ieri ho ricevuto una mail da un lettore. Un uomo che mi scriveva perché sentiva che il mio post “Non sono stata amata” era poco equanime nei confronti degli uomini. Che anche loro a volte non sono stati amati. Poco tempo dopo mi ha mandato un’altra mail, dicendomi che aveva visto che il 25 Novembre era la giornata contro la violenza sulle donne e si scusava per la sua mail poco opportuna. Confesso che la sua prima mail vi aveva suscitato una reazione: lavoro ogni giorno sull’equanimità perché non è affatto un sentimento scontato e così – quando mi permetto di sbilanciarmi – non ho tanta voglia di avere qualcuno pronto a misurare quanto mi sono sbilanciata.
Mi sono ricordata dei tentativi dei miei genitori di farmi dire da che parte stavo nei loro litigi: credo di aver iniziato lì la pratica di equanimità. Sapevo bene che se avessi fatto l’errore di dire quello che pensavo avrei solo alimentato un fuoco che andava spento. L’equanimità però non è silenzio. Ci sono cose che vanno dette e ingiustizie che non vanno taciute. Altrimenti non si è più equanimi ma conniventi. Ci sono voci di protesta che vanno alzate, forti e chiare. Quella contro la violenza sulle donne è una voce che va affermata con forza. Il 2020 è stato, per le donne, un anno disastroso. Dopo due anni in cui le denunce di violenza erano diminuite, dopo la fine del lockdown di primavera hanno visto una brusca impennata. I femminicidi continuano e le difficoltà economiche peggiorano la violenza. Su questo non possiamo essere silenziosi.
Nel 2020 sono aumentate anche le separazioni, sempre grazie al lockdown che ha spinto all’esasperazione situazioni che, fino a quel momento, avevano un loro precario equilibrio. Quando due genitori si separano c’è sempre il dolore di non essere stati amati, o, almeno, non come avremmo voluto. E questo dolore, caro FG, non ha genere. Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Nel momento in cui una coppia si separa mette in scena l’impossibilità del proprio amore e il senso di fallimento a volte può farci pensare che ci sia in noi qualcosa che non va, che è come siamo fatti la causa di tutti i mali. Sappiamo che non è così. Sappiamo che l’amore è perfetto ma le relazioni sono imperfette proprio come noi e che a volte andarcene è l’unico modo per salvarci.
Appunto. Andarcene. Andarcene non è un processo che finisce nel momento della separazione. È un processo che inizia in quel momento e poi, per alcune persone dura anni perché ce ne andiamo ma rimaniamo legati da una rete fatta di rancore, risentimento, rabbia e reattività. Andarsene per davvero è un’arte. Che si impara con il tempo. Io vedo tante persone che se ne sono andate con il corpo ma che, con la mente, rimangono sempre lì. Quall’andarsene non ha messo la parola fine ma solo la parola distanza fisica. Perché la ferita del non amore si rimargini abbiamo tutti bisogno di imparare ad andarsene davvero da quello che ci fa male.
Lei se ne va
ballonzolando sotto quel blu
e tutto l’amore che ho dentro si riversa su di lei
ma non c’è niente da fare,
e siedo fissando le piante
e dico alle piante, nella mia mente,
non riuscite ad amarmi?
non può succedere qualcosa qui?(…)
deve sempre continuare tutto
come se nulla fosse vero?
(…)il paradiso è una scala in discesa,
la cameriera si avvicina e mi dice,
“è tutto signore?”
e io dico: “si, grazie, è più che abbastanza“.
Charles Bukowski
Pratica di mindfulness: La pratica di gentilezza
© Nicoletta Cinotti 2020 Parole che si poggiano sul cuore