
La mindfulness utilizza la consapevolezza come uno strumento di scoperta di sè. Quella che in termini tecnici viene chiamato “self inquiring”.
Tutte le ricerche però, anche se condotte personalmente, come nel caso della mindfulness, hanno bisogno di mappe, proprio per facilitare il movimento in un territorio in parte sconosciuto. Questo sarà l’oggetto del presente articolo: una piccola mappa non per addetti ai lavori ma per ricercatori personali.
Le 5 sfaccettature della Mindfulness
La pratica della Mindfulness mette l’accento su 5 aspetti salienti: l’osservazione, la descrizione, l’azione consapevole, il non giudizio e la non reattività nei confronti della propria esperienza interiore.
Questi elementi finiscono per essere una definizione di fatto della mindfulness che può diventare sia uno strumento di cura che un metodo di ricerca interiore e scientifica.
La Mindfulness nei protocolli MBSR
Ovviamente la mindfulness può essere utilizzata in diversi contesti. Forse il più conosciuto è il protocollo MBSR, che nasce nel 1979 dal lavoro Jon Kabat Zinn e un ristretto numero di collaboratori presso l’università del Massachusetts. La definizione che ne dà Kabat Zinn è “prestare attenzione, intenzionalmente, nel presente e senza giudizio” sottolineando quanto il modo di prestare attenzione della mindfulness sia specifico perché costituito da una attenzione momento per momento, senza un’obiettivo definito, anche se con un oggetto specifico.
I tre elementi di questa definizione – intenzionalità, centratura sul presente e assenza di giudizio – sono rinforzati dalla ricerca scientifica che ha studiato l’efficacia di questo protocollo. Tre sono gli elementi che sono stati presi in considerazione in maniera prevalente: attenzione, intenzione e atteggiamento come manifestazioni centrali della pratica di mindfulness sia informale che formale.
Intenzione, Attenzione e Atteggiamento
Attenzione, intenzione e atteggiamento diventano così, in breve i tre assiomi dell’esperienza diretta di ogni persona. L’attenzione implica la presenza di diverse capacità coinvolte nel rimanere nell’esperienza momento per momento con la focalizzazione necessaria. La sua caratteristica di base però non è solo la focalizzazione ma anche la capacità di mantenere ed espandere una certa flessibilità che permetta di cogliere il mutare dell’esperienza in corso. Non è quindi una attenzione rigida ma piuttosto una attenzione che si amplia progressivamente fino ad includere più elementi possibili dell’esperienza.
Il secondo elemento riguarda l’atteggiamento e sottolinea l’importanza del non giudizio inteso come una accettazione aperta e una gentile curiosità verso la propria esperienza.
L’intenzione, infine, è ciò che attiva il processo. Questi tre elementi, come mostra l’immagine sopra, non sono però tre elementi in sequenza ma piuttosto tre elementi in continua e reciproca interazione.
Dis-identificarsi
L’intreccio di questi tre elementi produce un effetto: quello della dis-identificazione. Ossia diventando consapevoli della nostra esperienza ci rendiamo conto che ciò che siamo è di più della specifica esperienza in corso. Pensiamo, ma non siamo i nostri pensieri. Proviamo dolore ma non siamo solo dolore. Alcuni autori (McCown 2004; Deikman 1996) sottolineano come questo renda meno distratti facendo aumentare l’indipendenza di campo, ossia la nostra libertà dagli eventi che ci accadono.
Jon Kabat Zinn descrive questo cambiamento :”vediamo in maniera diversa le vecchie cose perché le vediamo in una luce nuova – una consapevolezza che non è più confinata a una dimensionalità convenzionale e da una mente strutturata”.
La ri-percezione
Avviene quindi quella che potremmo definire come una ri-percezione che facilita lo sviluppo e il cambiamento autoregolato. Questa ri-percezione non crea distanza o disconnessione dalla propria esperienza ma ci rende, piuttosto, maggiormente capaci di guardarla, sentirla e conoscerla più profondamente.
Questa ri-percezione può offrire maggior equilibrio e capacità di risposta verso esperienze abitualmente soverchianti, offrendo anche l’opportunità di riflettere e scegliere valori e azioni più risonanti con il proprio contesto.
In definitiva quindi l’esperienza diventa più autoregolata (1); maggiormente chiara nei suoi valori e significati (2); con maggiore flessibilità emotiva, cognitiva e comportamentale (3); con un maggior contatto anche verso aree che prima venivano evitate (4).
Distinguere l’attenzione dalla consapevolezza
In tutto questo è importante distinguere cosa significa attenzione e cosa significa consapevolezza, due termini che spesso vengono usati in maniera interscambiabile.
La consapevolezza è il flusso dei dati della percezione sensoriale, che includono i pensieri. E’ un processo espansivo e continuo e per questa ragione facciamo una scelta – implicita – su cosa e quanto essere consapevoli della propria esperienza. La consapevolezza, infatti, non è mai totale ma è piuttosto un atto di scelta.
Questa scelta è espressione dell’attenzione. Per distinguere tra attenzione e consapevolezza, spesso viene fatto riferimento al cosiddetto “Triangolo della consapevolezza”, ossia l’attenzione viene rivolta intenzionalmente alle sensazioni fisiche (1); alle sensazioni emotive (2); ai pensieri(3). L’insieme dei dati raccolti prestando attenzione a questi tre elementi costituisce il panorama della nostra consapevolezza.
L’atteggiamento non giudicante
L’aspetto non giudicante della pratica mindfulness è spesso uno dei più importanti e difficili elementi dell’esperienza. Anche accorgersi di giudicare infatti può far emergere un nuovo giudizio. Per questa ragione l’enfasi è posta su una gentilezza, una apertura e un atteggiamento amichevole nei confronti dell’esperienza in corso. E’ interessante, in tal senso, vedere che definizione danno della mindfulness Thich Nhat Hanh (1975) – monaco pacifista vietnamita, maestro zen – e Jack Kornfield, co-fondatore di due dei più importanti centri di meditazione americani.
Thich Nhat Hanh la definisce “il miracolo che richiama in un attimo la nostra mente dispersa e riporta quell’unità che ci permette di vivere ogni minuto della nostra vita” mentre Jack Kornfield la descrive come ” l’innata capacità umana di prestare, deliberatamente, una piena attenzione a dove siamo, alla nostra esperienza, imparando da tutto ciò“.
Le parole di Alan Wallace, riportano ancora più semplicemente il senso dell’esperienza mindfulness. Wallace, infatti, ci ricorda che la parola sati – che tradizionalmente viene tradotta come consapevolezza – significa anche memoria, o meglio il processo di riportare alla memoria, inteso come assenza di confusione e non dimenticanza. In questo senso, la nostra intenzione, attenzione e atteggiamento servono per riportarci alla memoria il senso pieno della vita, che altro non è che la vita stessa (Lowen).
Concludo con le parole di Jon Kabat Zinn, di una delle sue rare poesie “Benvenuto a casa”
Hai mai fatto l’esperienza di fermarti del tutto, di essere così totalmente nel tuo corpo, di essere così totalmente nella tua vita che quel che già sapevi e quello che non sai, e quel ch’è stato e quel che ancora dev’essere, e le cose come stanno proprio ora non ti danno neanche un filo d’ansia o disaccordo?
© Nicoletta Cinotti 2014
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