
Nella mindfulness l’attenzione al linguaggio è centrale: cerchiamo le parole esatte per descrivere un’esperienza perché trovare le parole esatte dà serenità, riduce l’inquietudine. Impariamo anche, dalla struttura del linguaggio, che cosa dà forma alla nostra mente. La cosa più bella per me è stata scoprire come funziona questo metodo conversazionale – qualcuno potrebbe definirlo maieutica – di imparare. Intanto diamogli un nome – che forse avrai già sentito: sia chiama inquiring, esplorazione. Una esplorazione delle esperienze personali nella pratica, ossia durante la meditazione, e, dopo la pratica, nel dialogo e nell’esplorazione condivisa.
L’inquiring arricchisce le esperienze personali e crea una rete che estende la percezione individuale e la rende una saggezza condivisa.
L’inquiring: cosa non è
Potrei partire dal dirti cosa è l’inquiring ma la nostra mente funziona per contrapposizione e ricorda molto meglio se partiamo da cosa non è. Così iniziamo facendo una lista di cosa non è. Nell’infografica qui accanto trovi, invece, cosa si fa durante l’inquiring passo per passo.
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- Non ha una struttura fissa, né come durata né come esplorazione. Può essere breve o molto lungo.
- Non riguarda necessariamente cosa succede in meditazione: può occuparsi anche di cosa succede nella vita quotidiana.
- Non è una tecnica: è una pratica.
La conversazione: nasce tutto da lì
Hai presente come fanno i bambini a imparare a parlare? Ascoltano. Ascoltano le domande, semplici, banali, che gli adulti gli fanno. “Cos’è questo?” dice Maria, la mia vicina di casa al suo bambino di un anno. L’elefante, ripete Maria scandendo bene le parole. (Il suo bambino si chiama Giuseppe: a volte la realtà supera l’immaginazione!). Si guardano negli occhi, guardano entrambi l’elefante e poi si guardano insieme di nuovo. Un giorno Giuseppe dice “Fante”, in un tripudio di sorrisi reciproci. Dice fante e non elefante perché impariamo a parlare dalle sillabe accentate, che crediamo abbiano più valore perché sono – sonoramente – più intense. Ecco l’inquiring è questo. Prendiamo qualcosa di intenso e qualcuno – o noi stessi durante la pratica – chiede “cos’è questo?” ripetendo la base della conversazione con la quale abbiamo imparato a parlare. I bambini autistici imparano più tardi – o non imparano a parlare – perché gli manca la parte della relazione.
Esplorare: rimuovere il coperchio dei concetti
Giuseppe è curioso perché non ha ancora concetti. Ha, dentro di sè, azioni sensoriali. Ha fame, sete, sonno, desiderio di contatto, desiderio di riposo, desiderio di vicinanza e di lontananza. Tutti modi di stare in relazione con quello che accade fuori e dentro di lui. Questo modo di stare in relazione disegna le parole che imparerà per prime. Una parte di questa esperienza noi la perdiamo perché tutti i concetti precostituiti che abbiamo sono come coperchi che mettiamo sul barattolo dell’esperienza. Chiudono invece che aprire. velocizzano, invece che rallentare. Nell’inquiring cerchiamo di fare in modo che i concetti, i significati già precostituiti, non interferiscano con l’esplorazione dell’esperienza in corso. Questo ci offre una prospettiva diversa: una prospettiva sensoriale che è dentro di noi ma che, in genere, rimane subliminale, non consapevole.
Prospettiva diversa
Nell’inquiring proponiamo un modo diverso di guardare alle esperienze: usiamo parole diverse, livelli di esplorazione diversi, metafore, poesie, esempi personali. Cerchiamo di non attivare reattività perchè la reattività è il coperchio più potente che abbiamo: quando reagiamo abbiamo attivato uno schema – articolato – fatto di emozioni, sensazioni fisiche, pensieri che agisce come un rullo compressore. Il rullo compressore del controllo sull’esperienza. La reattività prende tante forme: può essere un giudizio, la perdita della pazienza o della fiducia. oppure lo sforzarsi per ottenere un risultato preciso, l’aggrapparsi a qualcosa o il rifiuto, in una delle tante forme – verbali o fisiche – oppure, semplicemente, la noia.
Facciamo tante chiacchiere: in che modo questa conversazione è diversa?
Chiacchieriamo tantissimo quindi è lecito chiedersi in che modo l’inquiring – o la conversazione tra Maria e Giuseppe – sia diversa. Intanto è diversa perchè non si tratta di monologhi sovrapposti, come molte delle nostre conversazioni; finte conversazioni in cui aspettiamo il nostro turno di parola, per seguire il filo del nostro discorso senza discostarsi più di tanto da lì. Nell’inquiring c’è una attenzione condivisa e continuamente rinforzata a vicenda su uno stesso oggetto: l’esperienza nuda e cruda, per esplorare i suoi elementi e le reazioni a cui ha dato luogo. Non ci sono vere e proprie conclusioni, il ruolo della storia personale ha scarsa importanza mentre ha molta importanza l’osservazione dell’esperienza. È la consapevolezza che dà valore e non il giudizio.
Il primo luogo dove imparare l’inquiring è la nostra stessa pratica meditativa. Sedere o giacere senza giudicare e con gentilezza, occupandosi di ciò che si presenta, è un allenamento estremamente efficace. È esattamente quello che accade nell’inquiring. Edel Maex
L’inquiry inizia là dove finisce la meditazione; meditazione e inquiry sono complementari e si arricchiscono a vicenda perché le intuizioni che emergono dall’inquiry possono essere utilizzate nelle successive meditazioni.
Dare valore a ciò che ha valore
Fante è la sillaba accentata che piace a Giuseppe. Poi diventerà elefante con tutte le immagini che avrà rispetto a tutti gli elefanti del mondo. L’inquiry avviene sulla nostra sillaba accentata, su ciò che ha valore solo perché suscita il nostro interesse. L’interesse è l’ossigeno che alimenta l’esplorazione: senza la curiosità legata all’interesse non c’è esplorazione. L’inquiring fa però anche un’altra cosa: aiuta a non essere identificati con l’esperienza. Nel momento in cui la osserviamo, la esploriamo, riconosciamo che è un momento del flusso ma che noi non siamo quel flusso. Che è una nuvola nel cielo ma non è il cielo. Possiamo fermarci ad un inquiring orizzontale: riconoscere e nominare l’esperienza in corso. Tutto qui. Oppure possiamo scegliere di fare un inquiring che vada in profondità, un inquiring dove le domande sono più importanti delle risposte perché guidano l’esplorazione e favoriscono l’emergere di intuizioni. La cosa complicata dell’inquiring profondo è accettare che non sappiamo mai dove andremo a finire e, soprattutto, diventa necessario astenersi dal colmare il vuoto, con quello che già sappiamo. Questa è la vera tentazione da combattere. La tentazione che ci manda fuori dall’Eden!
© Nicoletta Cinotti 2022
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