
Al mio sedicesimo compleanno mio padre mi regalò un portachiavi d’argento. Era un osso con su scritto “Sono un osso duro”. Non so bene perché pensò a questo regalo (che oggi mi sembra un po’ da guinzaglio del cane). In ogni caso ne ero molto orgogliosa. Metteva a fuoco degli aspetti che lui apprezzava molto e che mi avrebbero dato un sacco di guai. La mia determinazione poteva arrivare alla testardaggine e il mio non mollare poteva arrivare a farmi male piuttosto che cedere. L’ho tenuto con me per molti anni fino a che un giorno si spezzò esattamente a metà. Forse era un segnale che non ero più un osso duro o forse un monito: nella rigidità c’è molta fragilità.
In ogni caso nella mia famiglia essere duri era un merito: la tenerezza non godeva di grande credito e nemmeno di prestigio. Si narrano gesti assurdi più o meno di tutti i componenti della mia famiglia. Non ho mai capito se è una specifica caratteristica dei toscani – detti anche toscanacci – o se pure c’è stato un considerevole assembramento di teste dure proprio nel mio paese. In ogni caso essere tenera era un difetto. Anzia una “bischerata”. Bisognava affrontare le difficoltà a muso duro. Devo dire che questo ha alimentato anche degli aspetti positivi: mi ritengo abbastanza coraggiosa purché non si tratti di fare qualcosa che mi suscita vertigini. Sono scesa al primo piano della Torre Eiffel perché quel cavolo di ascensore con vista mi gettava nel panico e ho creato un ingorgo sulla torre della Sagrada Familia perchè, salendo, avevo imprudentemente guardato fuori, paralizzandomi. Lasciamo perdere L’Empire State Building: ho anch’io una dignità da difendere! (Adesso, lo so, ti domanderai perché insisto: in effetti è una buona domanda ma non ho ancora una buona risposta).
Oggi ho capito una cosa: ho capito che facevo confusione tra timore e tenerezza perché entrambe ti rendono tremolante. Solo che nel timore rimango bloccata e mi ritraggo e nella tenerezza, invece, mi viene voglia di avvicinarmi. Così quando tremo oggi mi domando prima di tutto verso che cosa sto provando tenerezza e poi, solo dopo, mi chiedo se, per caso, sono spaventata. Ho scoperto così che c’è molta più tenerezza di quella che credevo dentro di me e che, fortunatamente, invecchiando si irrigidiscono solo le articolazioni. il cuore invece diventa più grande e coraggioso perché impari che aver paura non serve a niente, Serve a spaventarti in anticipo ma poi, quando arrivano i guai, sono sempre una sorpresa.
Così quando mio marito mi ha regalato una maglietta con su scritto “Testarda” mi sono domandata a cosa si riferisse. Anzi mi sono fatta un bel po’ di paranoie. Mi è tornato in mente il portachiavi di mio padre, mi sono domandata se c’erano ancora tante tracce della mia testardaggine adolescenziale. Mi sono domandata se era un monito della serie” Piantala un po’...” e lui mi ha risposto, sorridendo “Sei testarda nel voler bene. Non molli, indipendentemente da quello che succede”. È vero, ho pensato, difficile convincermi a smettere di amare qualcosa o qualcuno che amo.
Riconoscere la paura non deve essere motivo di depressione o scoraggiamento. Dal momento che abbiamo questa paura siamo anche potenzialmente in grado di sperimentare l’assenza di paura. La vera assenza di paura non consiste nel ridurre la paura ma nel superarla. Chogyam Trungpa
Pratica di Mindfulness: Lavorare con la paura. Oppure la pratica delle 8 su FB
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: il coraggio nella pratica di mindfulness
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