
Quando, lavorando con un paziente incontro un blocco profondo, nella stanza cala un silenzio irreale. Un silenzio che assomiglia ad un buco nero che assorbe l’energia di tutto ciò che sta attorno.
E’ il silenzio del lutto. Il lutto che produciamo quando mettiamo a tacere parti di noi. Questo zittire noi stessi e gli altri è una delle ferite peggiori. Porta una stanchezza che non ha sollievo nel riposo. Una silenziosa disperazione che non conosce speranza. È l’esperienza viva che sembra più vicina alla morte. Così diversa dal silenzio della calma.
Questo è un silenzio assordante.
Allora respiro, rendo dignità a quel profondo dolore e aspetto che riprenda un suono. Il suono del respiro, a volte il suono di lacrime sommesse. A volte le parole di un racconto. Il racconto di una storia che forse ha avuto spettatori ma nessuno che abbia davvero ascoltato e guardato
Quelle parole e quel suono riparano la ferita e le restituiscono vita. In quel silenzio non sappiamo se nascere e morire ma se troviamo le parole vuol dire che abbiamo scelto di nascere.
“Le nostre parti esiliate nascono dal tentativo di contenere le emozioni difficili. Promettiamo a noi stessi che prima o poi le affronteremo e così l’attesa diventa lo sport nazionale delle parti esiliate: aspettano.” Genitori di sé stessi
Pratica del giorno: Oggi proviamo ad ascoltare le parti zittite della nostra vita. Le parti esiliate: meditazione di Reparenting
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