
Nuova versione di una favola antica
Potevo nascere in una famiglia di miei simili e invece, per uno di quegli scherzi che a volte il destino riserva, nacqui in un famiglia di anatre. Io ero il più goffo, sgraziato e rumoroso essere che quei genitori prestati dal caso avessero mai visto. Ci rimasero male, ma ancora vedevo nei loro occhi la speranza di chi si dice che è solo questione di tempo, il tempo mi avrebbe fatto diventare un’anatra come le altre. Ma il tempo mi rendeva sempre più diverso, inciampavo, il becco grande, il verso inascoltabile, e così presero a guardarmi come un estraneo finché mi chiesero senza tanti giri di parole di andarmene. Sentendomi cacciato da quella che credevo fosse la mia casa, portando con me solo una solitudine pesante come un macigno e senza sapere come prendermi cura di me,affamato, infreddolito cercavo aiuto almeno per sopravvivere. Ma stava arrivando l’inverno e sopravvivere era davvero difficile. Sopravvivere per cosa, poi, visto che la mia presenza non era importante per nessuno? Anzi visto che ero tutto sbagliato almeno per chi avevo avuto accanto fino a quel momento? Le brutte sensazioni rendono immobili ed io mi immobilizzai sotto un albero,deciso solo ad aspettare, tanto a un certo punto non si sente più la fame, si ha solo sonno e il sonno rende tutto lontano e sopportabile. Il destino decise di farmi di nuovo uno scherzo, ed un contadino che passava di là mi prese e mi portò alla sua fattoria.
Mi tennero nella stalla, c’era caldo e mi davano da mangiare e da bere, solo che io mi continuavo a sentire così solo, così abbandonato, così brutto, così imperdonabile che continuai ad aspettare. In primavera i bambini del contadino mi presero e mi portarono in un laghetto vicino per farmi fare un bagno volevano vedermi sull’acqua. Quando fui lì mi si avvicinò un bellissimo animale, bianco,grande, con profondi occhi neri, fiero. Ero affascinato e impaurito, pensavo volesse farmi del male visto come invece ero ridotto io. Mi chiese da dove venivo e dove fosse il mio branco. Risposi “non ho branco, non ho famiglia”.
“Vieni con me allora”
“Io con te? Perché me lo chiedi?”
“Come perché? Sei uno di noi, senza branco, ti puoi unire sarai il benvenuto” Non sapevo cosa pensare. Solo in quel momento col collo chino in basso vidi le mie zampe, grandi, arancioni, vidi le mie piume bianchissime e mi resi conto di avere un lungo collo affusolato. Ma soprattutto solo in quel momento mi resi conto che avevo delle ali enormi.
“Ma cosa sono io?”Sentii una risata fragorosa…”di sicuro sei strano, sei un cigno parecchio strano. Che fai allora,vieni?”. Prese una leggera rincorsa e volò sopra di me.
Ed io mi guardai di nuovo, presi la rincorsa e volai. Incerto ma volavo. Non sapevo cosa volesse dire essere un cigno e forse non sarei mai stato un cigno uguale agli altri, ma non mi importava,avevo tutto il tempo per capirlo.
© Paola Bigiarini 2021 per la Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”