
Un amico sta uscendo dalla fine di una relazione sentimentale. È un’uscita dolorosa e lunga. Malgrado siano mesi che la storia è finita, il suo dolore non accenna a diminuire, suscitando sorpresa per la sua inconsolabilità. È estate – la sua stagione preferita – avrebbe un sacco di cose divertenti da fare. Eppure non riesce a fare quasi nulla: è uno di quei dolori che rendono apatici. Non tutti i dolori sono così: alcuni rendono creativo, altri iperattivo, altri arrabbiato. Il mio dolore prende sempre la forma del riordino. Quando qualcosa non va metto ordine da qualche parte. Perché quando sto bene metto disordine. Tanto prima o poi avrò una giornata nera in cui riordinare tutto. Una volta, durante una supervisione particolarmente difficile, ho rimesso in ordine tutti i fili di un tappeto. Eravamo seduti a terra – come facciamo spesso noi bioenergetici e anche noi mindfulness teachers – la supervisione andava per le lunghe. Una persona aveva portato una situazione in cui il problema era evidente a tutti tranne che a lei. Non si rassegnava che la criticità fosse proprio lì. La voleva da un’altra parte. Mentre l’ascoltavo ho iniziato, con la mano, a pettinare, la finitura del tappeto, quella parte che in genere è arruffata dai passi. Per metterla in ordine dovevo gradualmente spostarmi verso di lei. E, quasi impercettibilmente mi avvicinavo, pettinando il tappeto con gesti piccoli, gentili, insistenti.
Alla fine mi sono trovata accanto a lei: era davanti all’unica parte del tappeto ancora in disordine, con tutti i fili arruffati. Quei fili vengono tagliati quando il tappeto è finito e sono la parte che l’ha tenuto fermo sul telaio. In qualche modo sono la radice del tappeto. Era buffo vedere la stanza da quella prospettiva: tutto pettinato tranne quell’area in cui era tutto confuso e in disordine. Vista da quella prospettiva ho sentito quanto poteva sentirsi incompresa: noi tutti ordinati e lei no. Noi tutti diversi ma tutti insieme, ben distinti. Lei un ammasso aggrovigliato. Quando stiamo male o siamo incastrati in qualcosa è così: la prima percezione è quella di non appartenere allo stesso genere degli altri. Di far parte di un genere diverso. Io pettinavo per tenere a bada la frustrazione. Cercavo di farle vedere la logica e lei passava la mano sul tappeto mischiando tutto. E il mio mettere ordine aumentava la sua sensazione di non appartenere, il suo senso di isolamento. Così le ho chiesto di spostarsi e di guardare la sua posizione da un’altra prospettiva, da un altro punto del tappeto. Ha visto i fili ordinati e quelli disordinati. Vedi – mi ha detto – io quella confusione la conosco. Non ci sto bene ma è conosciuta. Questo ordine invece non lo conosco. Passare da qui a lì sembra niente ma è una trasmutazione. Come se dovessi lasciarmi dietro una vecchia pelle per metter su un’altra pelle: una muta. Mi fa paura il passaggio. Quando sto lì sto male ma lo conosco. Quando sto qui sto bene ma è sconosciuto. La cosa davvero difficile è il passaggio da lì a qui. Ma nel passaggio cosa c’è? le chiesi, stando proprio al centro dei fili disordinati. Nel passaggio c’è che dobbiamo riconoscere l’errore, ciò che non è stato, anche se volevamo che fosse, ciò che non c’è. Nel passaggio dobbiamo essere presenti nella mancanza. Se rimaniamo a cercare una soluzione crediamo di sconfiggere la mancanza ma è il vuoto che dà la forma. È la mancanza che rivela chi siamo, anche se preferiamo presentarci sempre con quello che c’è.
È sempre il passaggio la cosa difficile. Poi, quando varchiamo la soglia è tutto finito. La soglia la varchiamo con questa promessa: dopo sarà diverso, sarà finito. Senza questa promessa avremmo il coraggio di varcare la soglia?
Abbiamo paura. Profondamente paura di essere chi siamo davvero, di rivelare chi siamo davvero. Di fidarci, ancora una volta, che, se lo faremo, nessuno metterà un meno sulla pagina, un meno al nostro voto. Meno. Non abbastanza buono. Pat Schneider
Pratica di Mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: il coraggio nella pratica di mindfulness 27- 29 settembre