“La pratica non consiste nel cercare di gettare via se stessi per sostituirsi con qualcosa di meglio. Vuol dire invece fare amicizia con la persona che già si è.”
“Nutrire gentilezza amorevole, maitri, verso se stessi non significa sbarazzarsi di qualcosa. Maitri significa che, dopo tutti questi anni, possiamo ancora permetterci di essere mezzi matti; possiamo ancora essere arrabbiati, timidi, gelosi, o sentirci del tutto indegni. Il punto non è sforzarsi di cambiare se stessi.” Pema Chodron, Senza via di scampo
La porta del corpo
Sono entrata nello Yoga attraverso la “porta del corpo”, seguendo la sua saggezza nel riconoscervi qualcosa che mi faceva bene profondamente e che ha letteralmente modificato non solo il corpo, bensì il mio atteggiamento nel quotidiano. Nel cammino intrapreso, non ho potuto fare a meno di studiare e leggere di questa tradizione e mi stupisco nel ritrovarvi, sebbene con altre parole, ciò che ho imparato a riconoscere come essenziale.
Yoga sutra di Patanjali
Condivido con voi gli insegnamenti di Patanjali, che scrive uno dei testi più importanti dello Yoga: gli Yoga Sutra, brevi aforismi, pensieri, che racchiudono millenni di saggezza tra corpo e cuore. Sono definiti, infatti, il cuore dello Yoga da Desikachar, un grande Maestro, che ridà vita a questi insegnamenti portando in essi il prana, ovvero il respiro. Così noi oggi respiriamo le sue parole.
Patanjali “ci offre una summa del processo di autoconoscenza e degli strumenti di lavoro.Se sappiamo scegliere quelli giusti (per noi) e applicarli, la nostra mente conoscerà la pace e quella meravigliosa saggezza e felicità che costituiscono il nostro potenziale” (Desikachar, Il cuore dello yoga).
Otto rami dello Yoga e i suoi passi
Patanjali descrive otto rami dello Yoga o Asthanga.
Individua il primo passo in Yama: l’etica, ovvero la relazione con gli altri esseri umani e il mondo. E’ come se dicesse al praticante: “come prima cosa devi purificare, rendere migliori le tue relazioni”. Trovo meraviglioso che il primo passo dentro lo yoga racchiuda questo insegnamento: avere cura delle proprie relazioni. Forse dovrebbero insegnarcelo anche a scuola, prima di ogni altra materia e cresceremmo persone migliori.
Il secondo passo è Nyama : il corretto stile di vita, i comportamenti più intimi e personali. Sono l’atteggiamento che adottiamo nei confronti di noi stessi. Tra questi mi è caro sottolineare Samtosha, la contentezza e la modestia, e Isavrapranidana o l’abbandono, il permettere, la capacità di lasciare andare.
Le asana
Il terzo passo sono le asana: dove come unico suggerimento Patanjali dice, “l’asana deve essere comoda”, da qui la ricerca di equilibrio tra sthira, l‘attenzione stabile, la forza e sukkha, l’arrendevolezza. Negli Yoga Sutra si dice che padroneggiare un asana significa padroneggiare gli opposti, …ovvero “diventare più sensibili e imparare gli opportuni adattamenti, perché conosciamo il nostro corpo. (quindi) sappiamo ascoltarlo e percepiamo le sue reazioni alle varie situazioni”. La porta del corpo è quella che esploriamo nelle classi, la nostra chiave per sentirsi vivi e vitali, accedere a quelle parti di noi che teniamo chiuse, in cui si annidano tensioni e contrazioni.
Pranayama
Il quarto passo è pranayama, il controllo del prana, con cui si indica la forza vitale o, anche, il respiro. Attraverso il respiro possiamo sciogliere le tensioni, portare comodità e leggerezza in ogni posizione. Spendo qui poche solo due righe, ma trovo abbia davvero del miracolo il potersi sedere in meditazione, immobili e sentire così vivo il respiro dentro di noi.
Una bella definizione l’ho trovata in una canzone, dove si canta we are stillness in motion,ovvero “siamo immobilità in movimento”. Il quinto ramo è pratihara e riguarda i sensi, spezzare il legame tra la mente e i sensi. Avviene spontaneamente quando siamo seduti in meditazione, quando siamo concentrati su qualcosa o nel mentre assumiamo un asana. Il respiro è la nostra ancora in questa interiorizzazione, o cammino di conoscenza di sé.
Tenere la concentrazione
Dharana, è il sesto membro dello yoga. L’idea è quella di ‘tenere la concentrazione’ in un punto, in una direzione. E’ il modo in cui possiamo alimentare una specifica qualità della mente, ad esempio nella meditazione di Metta, l’amorevolezza gentile, o del lago l’equanimità. Io la leggo come scoccare la freccia dell’intenzione, tenere lì il nostro sguardo, rimanendo aperti a quello che accadrà durante il viaggio.
Dyana, per Patanjalai è conseguente a dharana, è la comunicazione, che avviene nello stato di meditazione, tra il testimone interiore e l’oggetto della meditazione. Patanjali non sa più darci indicazioni da qui in poi, attribuisce la possibilità di sperimentare dyana e il successivo samadhi alla grazia “allenata dalla pratica”.
Cercando un parallelo, nella mindfulness gli oggetti siamo noi, con il flusso di emozioni, pensieri, abitudini…tutto ciò che ci abita e la comunicazione potremmo leggerla come l’accordo di ciò che siamo con l’onda del respiro, che culla ciò che ci abita, aiutandoci a fare amicizia con quello che siamo, senza mettere nulla fuori dalla porta di casa.
L’ultimo ramo
Samadhi, l’ultimo degli otto rami, per Patanjali è lo scopo dello Yoga e significa “unire, fondere insieme”. Arrivare a non distinguere più pensante e pensato, chi sente e il sentimento…mi piace interpretarlo come quegli attimi di intuizione, in cui ci si sente parte del tutto, in cui affiora una gioia improvvisa dentro, pacificante e non si hanno parole per dire quella pace profonda e irrequieta al tempo stesso, ma solitamente nasce insieme un respiro profondo.
Un piccolo assaggio di un testo profondo e che si presta a molteplici interpretazioni, qui vi ho presentato una mia lettura, mi piace nel leggere trovare le espressioni che descrivono ciò che mi accade nel quotidiano, sentimenti, dare voce a relazioni, collegamenti e a ciò che a volte è fermo nell’intuizione senza parole. Se vi ha interessato, non esitate ad approfondire leggendo voi stessi questo testo e trovare le vostre chiavi di lettura. Suggerisco il commento di Desikachar, maestro Yoga con una larga esperienza tra oriente e occidente e profonda umiltà nella trasmissione ai suoi studenti.
“L’oggetto della pratica siete voi, sono io, chiunque siamo qui e ora, ed esattamente come siamo. È questo il nostro campo di indagine, che studiamo e ci prepariamo a conoscere con profonda curiosità e interesse… Quindi, venite come siete.Il trucco consiste nell’essere disposti ad aprirvi a ciò che siete, a essere pienamente consapevoli di ciò che siete.”
Pema Chodron, Senza via di scampo