
Ci sono tanti modi di essere indipendenti. Alcuni sono modi salutari, in cui lo stare sulle proprie gambe non significa essere soli ma avere fiducia sulle proprie possibilità. Altri modi invece sono legati all’essere sfiduciati rispetto a quello che può arrivare in una relazione o dagli altri. Ci sono indipendenze che sono molto dolorose. Tanto dolorose che le definirei sanguinolente. Sono le indipendenze che nascono dalla necessità di contare solo su di sé. Ma cosa c’è in questo misterioso processo tra dipendenza e indipendenza che può renderci schiavi anche quando siamo liberi?
Proverò a raccontartelo con una metafora. Immagina che l’indipendenza sia un albero che cresce sul terreno. Più le sue radici hanno la possibilità di andare il profondità, più le sue chiome possono allargarsi, più il cielo è aperto e vasto sopra di lui e più l’albero sarà rigoglioso perché potrà contare sul nutrimento del sole, della terra e sul nutrimento della vastità, che è il nutrimento dell’essere liberi. Immagina adesso che quell’albero si trovi a crescere tra le rocce. Una volta avevo trovato un cipresso bonsai che cresceva su un muretto a secco. Era un bonsai naturale: aveva trovato spazio tra le rocce di questo muretto e cresceva piccolo e dritto come solo i cipressi sanno fare. Non avevo resistito alla tentazione di dargli più spazio e l’avevo portato in una terra ampia dove aveva ripreso una crescita più libera. Se nella nostra vita non abbiamo potuto contare sul nutrimento diventiamo degli “indipendenti bonsai” ossia cresciamo ma la mancanza di nutrimento non permette alle nostre potenzialità di svilupparsi. Accade, per esempio, se siamo nati in una famiglia dove non abbiamo ricevuto a sufficienza. Questa però non è una condizione ostativa perché, una volta diventati adulti, possiamo metterci in un terreno più ampio e passare così dall’essere un indipendente bonsai all’essere un albero. A volte però le limitazioni alla nostra indipendenza reale le mettiamo noi perché proviamo dolore e, per non provare dolore, diciamo alle nostre radici di evitare dei terreni che giudichiamo pericolosi. In genere questo succede con la sofferenza relazionale. Se sperimentiamo ripetute delusioni o tradimenti – veri o percepiti che siano (perché a volte siamo molto vulnerabili e ogni vento ci adombra) – potremmo scegliere di fare a meno delle relazioni per essere più al sicuro. Magari abbiamo delle relazioni ma non ci permettiamo di appoggiarci a questa relazione per paura di venir traditi o feriti nuovamente. Oppure ci appoggiamo timidamente e, al primo fremito, ci allontaniamo più velocemente possibile. Magari rimaniamo insieme ma non contiamo davvero su nient’altro che sulle nostre gambe. Allora torniamo ad essere degli indipendenti bonsai perché il nutrimento che possiamo darci da soli, contando solo sulle proprie forze, non è mai sufficiente per realizzarsi pienamente. È sufficiente per una vita bonsai, sicura e protetta ma isolata. Questo dolore, il dolore degli indipendenti bonsai è espresso attraverso l’amarezza, quel sentimento che rimane quando hai intravisto la dolcezza ma ne sei rimasto escluso. Come mangiare un panino un po’ stantio mentre i tuoi amici hanno soffici merendine. Può darsi che il panino sia più salutare ma tu vorresti, almeno per una volta, una merendina.
Non so se è amor che hai, o amor che fingi,
quello che mi dai. Dammelo. Così mi basta.
Giacché per tempo giovane non sono,
che lo sia almeno per errore.
Poco gli dèi ci danno, e il poco è falso.
Però, se ce lo danno, sebbene falso, l’offerta
è vera. Accetto.
Chiudo gli occhi: è sufficiente.
Cosa voglio di più?12 Novembre 1930 Traduzione di Antonio Tabucchi. Patrizia Cirulli lo canta in portoghese nel podcast di Radio Popolare, “Versi Perversi”
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti Reparenting ourselves. Ultimi giorni per l’iscrizione con early bird discount al ritiro di primavera