
Ho sempre letto compulsivamente ma con un filo: c’è qualcosa che mi interroga e che mi rimane tra i denti. Allora navigo tra prosa, saggi e poesia e qualcosa di solito trovo.
Siccome sto organizzando la prossima edizione del Teacher Training in Mindful Parenting, adesso sto leggendo sulle madri. In realtà c’è anche un’altra ragione: mia madre mi ha sempre fatto impazzire.Una di quelle situazioni in cui posso dire che entrambe ci vogliamo bene e non ci sopportiamo. È reciproco e questo libera dai sensi di colpa. Non so con precisione cosa non sopporto: forse è il suo avermi voluta diversa da quello che sono o forse altre “ipotesi psicologiche edipiche”. In ogni caso il suo numero lo digito ogni volta: non voglio che ci sia niente di automatico quando la chiamo: devo avere la massima attenzione e consapevolezza perché sennò è facile litigare.
Adesso lei è anziana e malata e il suo carattere tempestoso e facinoroso è ancora più forte. E questo mi mette in un attrito doloroso tra il desiderio di accudirla e la difficoltà di farlo: non accetta di avere bisogno di cura e non accetta di non avere il controllo della situazione. Poi ho avuto un lampo. Un lampo di genio. Ho capito che lotto contro la “madre perduta”. Quella mamma che non è mai esistita se non nella mia fantasia di come dovrebbe essere una buona mamma. Una fantasia che molti figli hanno: la fantasia di come dovrebbero essere i propri genitori. E, accanto a questa fantasia, i genitori reali. Anche lei lotta contro “la madre perduta”, morta quando aveva solo 8 anni. Nessuno le ha insegnato a diventare donna e nemmeno mamma: l’ha fatto da sola, con un vessillo di forza, indipendenza e arbitrarietà mai riconosciute.
Così nella mia ricerca ho tirato fuori dalla libreria un vecchio saggio, “Figlie senza madre” di Hope Edelman, ormai credo introvabile. Raccoglie, con uno stile saggistico e narrativo insieme, la storia di donne che hanno perso la madre: il lutto, l’elaborazione personale e familiare. Un libro che è così bello che avrei voluto saperlo scrivere io. C’è un capitolo “Quando la donna ha bisogno di una donna” che è quello più toccante per me. Perché mia madre è orfana ma anche perché sto ancora cercando mia madre e a volte ho l’impressione di trovarla ma poi mi sfugge velocemente tra le mani. Si è sempre fatta scudo della sua autonomia e indipendenza che andava dal saper riparare la lavatrice all’affrontare a testa alta (altissima) qualsiasi difficoltà senza lamentarsi. (Lamentarsi nella mia famiglia era più proibito del mettersi le dita nel naso). Ho capito che le è mancato qualcuno che le insegnasse a diventare una donna e che questo è il filo che ci lega: ci inventiamo un modo intermedio di essere donne.
Le figlie senza madre confondono di frequente il comportamento femminile con l’identità femminile. Sebbene l’uno possa riflettere l’altra non sono la stessa cosa. Il comportamento deriva dall’osservazione e dall’imitazione. L’identità si sviluppa attraverso un allineamento interiorizzato con un modello femminile.(…)La ragazza che perde la madre non ha una dimostrazione concreta e disponibile di come sia essere una donna adulta. Non trova una guida diretta per un comportamento tipico del proprio sesso nè un collegamento immediato con il genere femminile.(…) Dice Denise: “Mi sono sempre sentita come una creatura mezza di qua e mezza di là, il frutto di una specie di mutazione genetica, un qualcosa di neutro. In una cultura funzionante sull’opposizione binaria, dove la donna è definita come “non uomo” una figlia senza madre alla ricerca di una lingua per descrivere sé stessa, è costretta a domandarsi, frustrata: ma allora chi sono?(…)Sono dunque così: ho l’aspetto di una donna, mi comporto come un uomo e sotto sotto mi sento una bambina, sempre alla ricerca di qualcuno che mi assicuri che sono brava, attraente, buona. © Hope Edelman
Ecco io e mia madre siamo così: femminili fuori, maschili dentro. Lei sotto sotto si sente una bambina. Io, sotto sotto, mi sento la madre di quella bambina ribelle di mia madre.
Domani, continuerò ad essere. Ma dovrai essere molto attento per vedermi. Sarò un fiore o una foglia. Sarò in quelle forme e ti manderò un saluto. Se sarai abbastanza consapevole, mi riconoscerai, e potrai sorridermi. Ne sarò molto felice. Thich Nhat Hanh
© Nicoletta Cinotti 2022
https://www.nicolettacinotti.net/training-internazionale-in-mindful-parenting-con-susan-bogels-3-8-marzo-2022/