
Ieri ero in macchina; prima di prendere il viadotto per l’autostrada c’è uno stop e un passaggio pedonale, separati 30 metri l’uno dall’altro. Non si arriva mai troppo veloci al passaggio pedonale perché ci siamo appena fermati per lo stop. In quel passaggio pedonale attraversava una persona con la bicicletta. Mi sono fermata per permettergli di passare ma le ruote dell’auto erano un po’ oltre il segno di inizio delle strisce. Così questo signore con bici e sacca da palestra si è fermato davanti alla macchina e mi ha urlato di tutto perché non mi ero fermata (mi ero appunto fermata perché sennò non avrebbe potuto urlarmi) e mi ha detto che andavo come un missile (ebbene sì, lo dico per chi mi conosce e per chi non mi conosce, malgrado la mia proverbiale lentezza, c’è chi mi vede come un missile).
L’episodio è stato interessante per diversi motivi. Dal mio punto di vista mi ero fermata. Dal suo punto di vista non mi ero fermata. E questo è proprio quello che succede in molti litigi relazionali. La stessa situazione – al di là dell’oggettività – viene presa in due modi opposti. Immaginate marito e moglie in questa situazione. La moglie dice al marito in ritardo “Non mi sei venuto a prendere” e il marito risponde “ma ti sono venuto a prendere sennò non sarei qui!.
Il fatto che un limite sia stato varcato – il segno delle strisce pedonali, l’orario fissato dell’appuntamento – viene letto come una minaccia, una perdita di attenzione, a volte come una mancanza di rispetto. Da qui la protesta. Che potrebbe diventare un litigio (peraltro il signore con la sacca da palestra e la bicicletta era parecchio anabolizzato). È in questo punto che possiamo comprendere appieno l’importanza di fermarsi al momento giusto. Sottovalutiamo spesso quando è importante fermarsi al momento giusto. Quanto è importante fare una cosa in meno anziché una in più (soprattutto io). Quanto è importante andarsene cinque minuti prima anziché cinque minuti dopo. Oppure, più drammaticamente, quanto è importante chiudere qualcosa che ci fa male anziché protrarlo fino all’esasperazione dei nostri sentimenti. Così, a volte, mi capita di incontrare persone che sono state tutta la vita in una relazione tossica prima di chiuderla, senza tenere conto del tempo di vita che stavano passando così.
Non ci piace finire, non amiamo fermarsi, mettere un punto, dire basta. Ci ricorda il limite che vorremmo sempre spostare un po’ più avanti, l’asticella che vorremmo mettere sempre un po’ più in alto. È per questo che praticare può essere difficile. Richiede di fermarsi. E di stare in quell’immobilità. Per me ieri, la pratica migliore è stata dentro la mia auto. Fermarmi e non reagire. Guardarlo passare, provare comprensione (anche se non mi stava simpatico) aprire uno spazio di riflessione. E poi ripartire, grata di quella breve sosta inaspettata.
Perché tutte le volte che accade un imprevisto, in realtà, la vita ci sta offrendo una insperata occasione di pratica: fermarsi, prendere un respiro, osservare, riconoscere e accogliere – nominandoli – i sentimenti che proviamo e lasciarli andare. Perché sappiamo bene che siamo molto di più della persona che non si ferma al momento giusto.
L’essere umano deve sempre affrontare due grandi problemi: il primo è sapere quando cominciare; il secondo è capire quando fermarsi. Paulo Coelho
Pratica informale di mindfulness: STOP RAIN è un acronimo inglese. Significa Fermarsi (stop), prendere un respiro (take a breath), osservare (observe), procedere (procede), riconoscere (recognize), accogliere (acceptance), esplorare (inquiring), non identificarsi(not identification). Oggi, di fronte alle pause impreviste, alle code alla biglietteria o alla cassa del supermercato, non prendere il cellulare: pratica STOP RAIN
© Nicoletta Cinotti 2018 Amore e passione tra mindfulness e bioenergetica
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