
Torno da Giaiette. Un misto di sentimenti: il calore, la ricchezza del tempo strettamente condiviso per due giorni. Le risate – perchè abbiamo riso parecchio – qualche lacrima. La spinta della gratitudine che è il mio motore personale. Ci sono macchine che hanno il turbo. Il mio turbo è la gratitudine per la saggezza collettiva che si sprigiona nei gruppi. Per quella possibilità di essere insieme ed essere indipendenti: uno stato che ho cercato di coltivare per tutta la vita.
Tornare a casa è sempre tornare alla vita personale, quella dei sentimenti intimi. Tornare a casa è anche tornare al cambiamento che la vita ci propone, ci invita ad incontrare. Non sono due vite separate le mie. Sono due vite che si intrecciano e si mischiano. Oggi la vita mi invita a guardare la battaglia tra dipendenza e indipendenza. L’indipendenza che i miei genitori mi hanno tenacemente insegnato, tanto da farmi temere, qualche volta, che più che volermi indipendente mi volessero lontana. Oggi li vedo lottare per mantenere la loro indipendenza, la loro autonomia. È una battaglia che stanno perdendo – forse mio padre ha già ceduto le armi – ma la tenacia con la quale mia madre prova a difenderla mi fa capire che per lei è un valore assoluto.
È vero: l’indipendenza è un valore. Per una donna un valore doppio perché una donna che non ha indipendenza è una donna che non ha scelta e per secoli le donne non hanno avuto indipendenza e non hanno avuto scelta se non quella di essere “oggetti di famiglia”. L’indipendenza ci rende liberi, rende leggero il nostro cammino. Toglie i freni. Libera dall’altalena dell’approvazione e disapprovazione. Apre prospettive di significato personale e sostiene la nostra motivazione. Una persona indipendente sa che cosa vuole e conosce i mezzi per raggiungere quello che desidera, per coltivare la propria intenzione.
Chi corre veloce però corre da solo. Tante volte il prezzo dell’indipendenza è la perdita di intimità, di empatia, di sintonia. Come se il tempo dell’ascolto degli altri fosse tempo tolto alla propria vita. Come se l’intimità fosse un’invasione. Un ristagno rispetto all’andare. Perché gli indipendenti hanno sempre un piano, una direzione, un luogo da raggiungere. Anche da soli. Non importa. Questa è l’indipendenza che mi hanno insegnato ma non è quella che coltivo. L’indipendenza che coltivo è quella che si realizza quando si cresce insieme e c’è spazio per la diversità di ognuno. È l’indipendenza che si nutre di tolleranza per i tempi diversi ma soprattutto è l’indipendenza che si ha quando si è liberi – malgrado tutto – di dichiarare i nostri bisogni. L’indipendenza non può nascere dalla soppressione dei bisogni: quella non è indipendenza: è orgoglio.
Abbiamo bisogno di coltivare questo tipo di indipendenza che è crescita condivisa perché chi ci dice che gli altri sono un fardello, un peso, è un cattivo maestro che conosce solo l’indipendenza dei vincitori. Io coltivo e amo l’indipendenza che non fa distinzione tra vinti e vincitori.
La vita è un processo del divenire, una combinazione di stati che dobbiamo attraversare. Dove la gente fallisce è quando le persone vogliono scegliersi uno stato e restarci. Questo è un tipo di morte. Anais Nin
Pratica di mindfulness: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri