
Non credo di essere un mostro di pazienza. Ci provo e riprovo ogni giorno, in genere – strano a dirsi – con la tecnologia che è, per me, una fonte quotidiana di sfida. Faccio una cosa, convinta di aver fatto tutto bene ma i risultati non sono quelli attesi. Provo e riprovo, consapevole che c’è qualcosa che non capisco e quello è, molto spesso, il termometro della mia pazienza. Più sono consapevole di essere io a non capire e più sono disponibile ad essere paziente. Perchè la pazienza ha due colonne: quella del dare e quella dell’avere. La pazienza che abbiamo ricevuto dagli altri non ci sembra mai abbastanza mentre quella che diamo noi ci sembra sempre sotto sforzo perché siamo ben consapevoli dei limiti che proviamo quando stiamo arrivando all’intolleranza.
La pazienza più grande però è quella che cerchiamo di fronte al cambiamento: vorremmo cambiare subito, cambiare presto e bene e, invece, camminiamo passo passo e i nostri progressi non sono così semplici come nella crescita. Quando cresciamo le cose si sviluppano senza grossa intenzionalità come se fossimo tirati su dalla luce del sole. Possiamo sperimentare l’impazienza del diventare grandi, dell’essere maggiorenni ma non è un’impazienza che porta tanto lontano: il tempo deve passare.
Nel cambiamento invece il tempo si misura molto spesso sul parametro del successo o del fallimento e questo esaurisce la nostra pazienza e la nostra fiducia molto prima di quello che sarebbe necessario. Su questo però ho imparato una cosa: più il cambiamento assomiglia alla crescita, più lo lascio avvenire e più possibilità ci sono che tutto proceda senza sforzo.
Qualunque fiore tu sia,
quando verrà il tuo tempo, sboccerai.
Prima di allora
una lunga e fredda notte potrà passare.
Anche dai sogni della notte trarrai forza e nutrimento.
Perciò sii paziente verso quanto ti accade
e curati e amati
senza paragonarti
o voler essere un altro fiore,
perché non esiste fiore migliore di quello
che si apre nella pienezza di ciò che è.
E quando ciò accadrà,
potrai scoprire
che andavi sognando
di essere un fiore
che aveva da fiorire. Daisaku Ikeda
Pratica di mindfulness: La meditazione del lago
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves