
Da qualche tempo sono in una tempesta. Una tempesta familiare, di quelle in cui non vedi nulla perché il vento alza tanta sabbia che l’unica cosa che sai è che ti bruciano gli occhi (un po’ anche il cuore). Faccio la pratica di gentilezza amorevole e aspetto che la tempesta passi. Prima o poi tutte le tempeste finiscono. Dopo, solo dopo, si capisce davvero quello che è successo.
Le tempeste familiari non sono un’esclusiva mia. Ho sentito tante storie di tempeste familiari e sono arrivata alla conclusione che la famiglia può essere un luogo piuttosto scomodo. Cerco di mantenere il cuore aperto perché il rischio della chiusura penalizza, prima di tutto, chi la vive.
Così stamattina, durante la meditazione, ho davvero sobbalzato quando ho sentito serpeggiare un sentimento di gratitudine. Gratitudine per le tante cose che sono felici. Gratitudine per questo ventaglio di piacevolezza, spiacevolezza e neutralità che riesco ad assaporare quando rimango aperta. Per un lungo respiro mi è sembrato che la gratitudine fosse davvero l’unica cura, anche se può sembrare paradossale. L’unico spiraglio di chiara visione.
Come provare gratitudine nella tempesta? La nostra mente funziona per contrapposizione: conosciamo la sazietà grazie alla fame, la gioia grazie al dolore, il riposo grazie al movimento. Solo che, quando attraversiamo il lato spiacevole delle cose, non pensiamo che sia un modo per conoscere il lato piacevole. Pensiamo di dover cambiare lo spiacevole, di dover trovare una soluzione. E così, lottando verso la soluzione, rendiamo più duratura la sofferenza. La mia gratitudine è nata lì stamattina. Nel momento in cui ho guardato lo spiacevole e ho capito che mi aiutava a riconoscere il piacevole. Non è andare avanti a testa bassa con il cuore protetto che mi aiuta. È tenere lo sguardo verso entrambi i poli di questa danza vitale tra piacevole e spiacevole. Il respiro è il punto in cui entri nel vento, perché il vento della tempesta sei tu.
Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Haruki Murakami
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del corpo
© Nicoletta Cinotti 2019 Mindful Parenting