
Nel 2005 mi misi in un’impresa che sembrava impossibile: una ricerca di comunità sui bisogni di salute dei cittadini del comune di Chiavari. L’idea di base era semplice: quali sono i bisogni di salute delle persone reali? Possiamo partire da qui per progettare interventi di prevenzione? Possiamo chiedere a chi ha bisogno di che cosa ha bisogno anziché farlo decidere agli esperti?
Questo progetto di ricerca era promosso dall’assessorato alla Città Solidale e diventò un vero e proprio censimento dei bisogni della popolazione di tutte le età.
Un gruppo di 8 intervistatori condussero 3371 interviste individuali attraverso questionari elaborati insieme al gruppo di ricerca. Alle interviste individuali si unirono i 283 partecipanti ai focus group, composti prevalentemente da adolescenti.
Alla fine tutte le indicazioni emerse vennero pubblicate e presentate ai cittadini in un laboratorio dal titolo “IF. Immaginare il futuro”, condotto insieme a Elvio Raffaello Martini, un esperto in progetti di comunità (Vuoi vedere i dati della ricerca? (Clicca qui per scaricare l’opuscolo conclusivo)
Fu un lavoro sfiancante ed eccitante che prese un arco temporale relativamente breve grazie all’entusiasmo che il progetto aveva scatenato. Tutti avanzavano dubbi su questa idea ma nessuno voleva rimanere fuori dal progetto. Furono intervistati, grazie alle insegnanti, i bambini delle elementari come i membri delle associazioni sportive o di volontariato. Le risposte furono valutate sia complessivamente che tenendo conto del quartiere di residenza e delle diverse fasce d’età.
Alla fine arrivò il momento di presentare i dati alla cittadinanza, alle forze politiche e alle associazioni. Lo facemmo attraverso un laboratorio per passare dall’immaginazione all’azione,
Il laboratorio era IF- Immaginare il futuro, e si aprì in un clima serpeggiante di sfiducia nella possibilità che quello che emergeva venisse realizzato (forse anche tu che leggi hai la stessa sfiducia) . A distanza di anni posso dire che molte cose si sono realizzate e altre sono rimaste nel cassetto. Forse si realizzeranno ma le cose non sono andate peggio anche se, parlando con le persone, ti rendi conto che si tende a sottovalutare i cambiamenti positivi e ad aggrapparsi a quelli negativi. Tutta colpa della pandemia? Forse la pandemia ci ha reso un po’ più depressi ma questo atteggiamento è culturale e non episodico: non abbiamo fiducia nel futuro e tendiamo a non vedere i cambiamenti se non sono macroscopici
La cecità al cambiamento
Daniel Simons è un docente universitario americano che si occupa dei processi di attenzione ma è molto noto per il modo creativo con cui dimostra che la nostra attenzione utilizza solo una parte delle informazioni disponibili, tendendo a limitare le informazioni che registrano il cambiamento. Perché? In parte perché siamo distratti e in parte perché siamo troppo focalizzati sul risultato e quindi sottovalutiamo l’importanza del processo per arrivare ad un risultato, perdendo così il “bello della diretta”. Guarda qui uno dei suoi video più conosciuti, The Door Study
Il punto qual è? Che vediamo il mondo non per com’è ma per come lo immaginiamo e questo fa sì che il peggior ostacolo al cambiamento sia proprio il nostro modo di pensare al cambiamento: sforzo, convinzione, desiderio di riuscire e paura di fallire.
Una pessima partenza: conosco la soluzione
In genere le persone che incontro conoscono la soluzione ai loro problemi e vengono da me con l’idea che io gli debba fornire gli strumenti per arrivare a quella soluzione. Oppure sono convinti che la mindfulness sia la soluzione. In ogni caso la cosa più difficile è convincerli dell’opposto. Convincerli del fatto che la loro soluzione non è detto che sia una buona soluzione e che il problema è che non conoscono il problema ma solo la soluzione che hanno scelto per vincere la loro difficoltà. Ecco perché nella mindfulness si inizia con la pratica dell’uvetta. Siamo tutti convinti di sapere cos’è l’uvetta e di sapere perché ci piace e perché non ci piace ma cosa succede se scomponiamo l’uvetta attraverso i 5 sensi, rallentando? Scopriamo questo: segmentare offre una sensazione di maggiore spaziosità dell’esperienza. Si chiama illusione di Oppel-Kundt e fa sì che uno spazio suddiviso in frammenti sembri più grande di uno spazio vuoto. Insomma passare dalla soluzione all’esplorazione del problema sembra una perdita di tempo perché siamo convinti di conoscerlo già molto bene. Invece l’abbiamo solo rimuginato molto a lungo e per lo più usando solo il pensiero lineare
Una buona partenza: non conosco la situazione
La migliore partenza è dire a sé stessi, non sto bene e non so perché. Questo ci permette di iniziare un’esplorazione interiore che, nella mindfulness, si chiama inquiring. L’inquiring non è scavare nelle radici storiche del problema ma aprire la mente rispetto alle fonti di informazione. Esplorare come ci sentiamo nel corpo, notare e nominare le emozioni coinvolte e la qualità energetica dei pensieri invece che il loro contenuto discorsivo: questo è l’inquiring.
Rob Brandsma, un insegnante di mindfulness olandese che ha partecipato al recente convegno “Mindfulness e Self-compassion tra psico-educazione e clinica”ha usato una efficace metafora per descrivere questo processo: la metafora della campana. la campana tibetana che viene usata per segnare l’inizio e la fine delle meditazioni suona perché è vuota. Se la riempiamo non suona più. La nostra mente è come la campana: se è troppo piena di idee e di soluzioni non è più in grado di essere intuitiva. Non è il pieno che ci porterà alla soluzione ma il vuoto, il riconoscimento del bisogno autentico e non del successo desiderato.
Cos’è il pensiero lineare?
Il pensiero lineare è quello che ci convince della soluzione logica. Siamo convinti che sia un sistema meraviglioso, efficace, moderno e scientifico. Il problema è che se partiamo da presupposti sbagliati la logica non ci permetterà di arrivare a soluzioni giuste ma perpetuerà l’errore. Piccolo esempio: se mettiamo 5 scimmie in una gabbia con una banana e le puniamo tutte le volte che tentano di prendere la banana alla fine eviteranno di prenderla. Se, a turno, sostituiamo una delle scimmie che è stata punita con una nuova scimmia che non è mai stata punita, questa tenterà di prendere la banana ma le verrà impedito dalle altre scimmie che sanno che è pericoloso. Se sostituiamo tutte le scimmie alla fine avremo delle scimmie che non prendono più la banana senza sapere perché non la prendono ma solo che è pericoloso. Il nostro pensiero lineare funziona così: ci proibisce di fare delle cose sulla base di esperienze passate ma non verifica che siano ancora le scelte migliori: automatizza per velocità, per eccessivo desiderio di sicurezza, per eccessivo desiderio di vincere ed eccessiva paura di non saper imparare degli errori
L’impazienza
L’impazienza ha un alleato silenzioso che è la sfiducia. Il cambiamento è un processo: se siamo impazienti ci sfiduciamo prima che sia stato possibile andare avanti a sufficienza. Così rinunciare ci offre una certezza immediata – negativa ma immediata – basata su due elementi: una previsione negativa che ci sembra razionale e una riduzione al minimo del rischio di sbagliare. Tutto questo si basa sulla convinzione che sappiamo già come andranno a finire le cose e davvero, alla fine, i nostri problemi nascono proprio dalla convinzione che sappiamo già come sarà il nostro futuro.
Abbiamo più problemi dovuti a quello che sappiamo che problemi dovuti a quello che non sappiamo: perchè non partire proprio da quello che non sappiamo? Cosa succederebbe se una delle scimmie che evita di mangiare la banana facesse una prova, invece che accettare che è meglio non provare? Potremmo scoprire che non ci sono più punizioni al riguardo. Quando siamo troppo orientati verso un risultato la mente non è chiara: è focalizzata su un obiettivo e sfuma tutte le altre informazioni. Una risorsa non è voler arrivare al risultato ma portarlo nel cuore

IF – Immaginare il futuro: la storia politica
Cosa ho imparato da quell’esperienza? Ho imparato che le persone hanno un sacco di idee che gli esperti dovrebbero ascoltare ma hanno anche pochissima fiducia che saranno ascoltate. Ho imparato che ci sono forze che facilitano il cambiamento e forze che hanno paura del cambiamento. Ho imparato che non si cambia a partire dalla svalutazione di quello che funziona ma dal dare valore e fiducia a quello che già sta funzionando. Ho imparato che saper stare nel processo è il modo migliore per arrivare ad un risultato, accettando che quel risultato abbia una forma diversa da quella che avevamo pensato. Molte di quelle proposte sono state realizzate nel corso del tempo, da forze politiche di schieramento diverso perchè nessuna voleva che il merito stesse tutto da una parte. Anche noi siamo così. Anche noi abbiamo forze contrapposte che desiderano il cambiamento e che ostacolano il cambiamento. Anche noi siamo più interessati al risultato che al processo e in questo modo rendiamo difficile arrivare ad un risultato.
.IF – Immaginare il futuro: la storia personale
Così a distanza di molti anni ho pensato di mettere di nuovo insieme IF – immaginare il futuro partendo da ciò che ho imparato da quel successo che è stato anche un. fallimento. Le cose sono state fatte: questo è stato un successo. Non sono state fatte come avevo sperato: questo è stato un buon fallimento che mi ha permesso di capire che se vogliamo un futuro dobbiamo davvero lasciar andare i due ostacoli più forti: un’idea troppo definita di come dovrebbero essere le cose, un attaccamento troppo forte al passato. Non ci rendiamo conto che la vera perdita della difficoltà a lasciar andare il passato è che questo ci toglie il futuro. L’assurdità è che rimaniamo aggrappati non solo alle emozioni positive ma anche alle emozioni negative, esattamente come la scimmia della storia che ti racconto qui sotto


Per catturare le scimmie viene usata una gabbia con una banana al centro. La gabbia ha un buco attraverso il quale la scimmia può prendere la banana. Quando però cerca di portare fuori dalla gabbia la banana la mano resta bloccata dal buco nella gabbia che le permette di prendere la banana ma non di portarla fuori. A questo punto la scimmia ha un dilemma: insisto o rinuncio? Anche noi siamo nella stessa situazione quando ci sforziamo di realizzare la nostra soluzione e rimaniamo incastrati nella stagnazione. È in quel momento che abbiamo bisogno di lasciar andare la nostra soluzione e trovare un altro modo di arrivare alla nostra banana. In questo momento ci aiuta l’immaginazione, il pensiero creativo, la scomposizione del problema in piccoli frammenti di attività.

La soluzione è l’immaginazione e basta quella? No, l’immaginazione è il momento in cui la creatività realizza la nostra intuizione poi è necessario passare alla concretezza. Il nostro attaccamento al piacere può farci sostare nell’immaginazione troppo a lungo. Le persone troppo concrete ostacolano il loro futuro riempiendosi troppo e di troppe azioni. Quelle creative ostacolano il futuro rimanendo nella fantasia. La mindfulness può farci riconoscere in che modo passare all’azione, può farci esplorare che qualità ha la nostra spinta verso la concretezza e mischiarla sempre con una buona dose di non conoscenza. Può aiutarci a declinare una spinta all’azione che nasce dall’intuizione e dall’intenzione. Può aiutarci a diventare “campane vuote” per suonare, finalmente la nostra musica.
Per realizzare questo laboratorio metteremo insieme Mindfulness (io) e Design Thinking (Mafe De Baggis e Filippo Pretolani): sono certa che imparerò cose nuove. Qualcuna te la racconterò nelle prossime settimane! Stay tuned
© Nicoletta Cinotti 2022
https://www.nicolettacinotti.net/eventi/if-immaginare-il-futuro/