
Molto di quello che diciamo ha il fine principale di alleviare lo stress. Riveliamo ai nostri colleghi aspetti intimi di noi per poter sentire sollievo. Raccontiamo aspetti della nostra vita per alleggerire i pesi che portiamo. Oppure, viceversa, se scegliamo la strada del silenzio, spesso la sentiamo come se fosse un macigno posto all’entrata della nostra vita. Un macigno che oscura la prospettiva e la visuale.
Perché parlare, malgrado la sua natura insostanziale, comunque ci offre uno spiraglio di libertà. Questo è vero anche per gli altri: la maggior parte delle cose che ascoltiamo ci vengono dette nel tentativo di alleggerire lo stress che l’altra persona sta vivendo. Il problema è che le parole dette per alleviare lo stress sono, molto spesso, parole che producono altro stress. Proprio come tutte le azioni che facciamo per scaricare lo stress che finiscono per aggiungere problemi su problemi. Perché per scaricare dobbiamo diventare reattivi e la nostra reattività alimenta lo stress, anche se, sul momento, può farci provare un senso di maggiore leggerezza.
Lo stress non si cura con parole reattive: non si cura con il biasimo, con la disapprovazione, con la rabbia. Quando lo stress che ci opprime si alleggerisce le parole che emergono sono parole fresche, nuove, fuori dai binari dell’abitudine. La differenza tra le parole reattive e le parole non reattive sta nell’identificazione. Quando siamo reattivi tra noi e lo stress che viviamo non c’è distanza: siamo totalmente identificati con la tensione che proviamo e quello che esprimiamo – attraverso i gesti e attraverso le parole – racconta quella identificazione. Siamo come il pesce impigliato nella rete che, nel vano tentativo di liberarsi, si avvolge sempre di più in quello che lo trattiene.
Per uscire dallo stress abbiamo bisogno di uscire dalla identificazione, abbiamo bisogno di quello spazio che ci offre la consapevolezza: uno spazio in cui possiamo guardare con un po’ di distanza quello che ci affligge. È questo il miracolo che porta nella nostra vita la pratica di mindfulness. Porta la capacità di coltivare una distanza che non è distacco ma possibilità di vedere le cose e sentirne l’energia senza essere totalmente identificati con quello che viviamo. Perché siamo molto di più dei nostri problemi e in noi ci sono molti più aspetti che funzionano che aspetti che non funzionano. La differenza tra distacco e distanza è fondamentale. Nel distacco non siamo più in grado di provare empatia nei nostri confronti: possiamo andare oltre la nostra soglia di tolleranza senza percepire nessun pericolo. Nella distanza vediamo quello che sta succedendo ma lo guardiamo con gli occhi del cuore. E allora possiamo anche parlarne con le parole del cuore: parole che non feriscono perché contengono tenerezza per la nostra vita.
La mente non è mai totalmente contaminata dalla nevrosi. La bontà delle cose è sempre presente. Afferratela al volo. Sintonizzatevi sul senso di gioia che deriva dal fondamentale stato di vigile presenza. Chogyam Trungpa
Pratica di Mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire Oppure la meditazione delle 8 sulla pagina FB che troverai in differita sulla pagina Meditazioni in video
© Nicoletta Cinotti 2019 Genova, 15 aprile 2019, Serata di presentazione gratuita del protocollo MBSR
Photo by Element5 Digital on Unsplash