
Qualche giorno fa un amico mi ha detto affettuosamente che dovrei scrivere recensioni di professione. Perché gli piace molto il mio modo di leggere i libri.
Mi ha fatto ricordare che da bambina quando mi facevano la fatidica domanda “Cosa vuoi fare da grande?“, io rispondevo serissima che volevo fare la lettrice. In genere la mia risposta suscitava parecchia ilarità. Eppure ero convinta che il mondo avesse bisogno di lettori. Mi immaginavo che una lettrice passasse il tempo a leggere per quelli che non avevano tempo di leggere, come facevano alla radio. Oppure, quando osavo sognare in grande, pensavo che mi avrebbero pagato solo per leggere, come se questo fosse un’attività meritevole di un qualche stipendio. Qualcuno dovrà pur sceglierli i libri, pensavo. Chissà come si è sentita la lettrice che ha letto per prima Tolstoj: come un cercatore d’oro nel Klondike ha trovato una vena inesauribile.
Poi sono cresciuta e quest’idea l’ho abbandonata: mi sono limitata a rimanere una lettrice. Nel tempo da lettrice ho fatto un upgrade, un aggiornamento. Sono diventata una ri-lettrice. Non solo perchè leggo più volte lo stesso libro – come fanno quelli che ascoltano più volte lo stesso brano musicale – ma perchè ho iniziato a parlare con gli scrittori che amo. Con loro faccio lunghi dialoghi. Non sono monologhi. Gli parlo e qualche pagina dopo mi rispondono. A volte devo aspettare qualche libro ma se sono fortunata sono anche prolifici. Con Murakami ho parlato tantissimo. D’altra parte lui lo dice che ha un rapporto speciale con i suoi lettori. Tra questi, ovviamente, immagino di esserci anch’io. Ma la mia ri-lettura non si ferma qui. Molto spesso, in terapia o nei protocolli traduco – dall’italiano all’italiano – quello che mi viene detto. Sembra facile la traduzione dall’italiano all’italiano ma non è così. Metto le parole nell’ordine giusto, perché magari le persone le hanno confuse dentro di loro e quando le metto nell’ordine giusto le persone si capiscono meglio. Così, in un certo senso, sono diventata una ri-lettrice professionista. Le persone arrivano con il loro bagaglio di vecchie storie impolverate e io cerco lì dentro la parola chiave. La parola chiave c’è sempre: è quella che sgomita per vedere la luce e aspetta di essere riconosciuta perché racconta finalmente una storia diversa.
Quando trovo la parola chiave cerco di non lasciarla andare. A volte è difficile perchè le storie già scritte sono prepotenti e non vedono l’ora di raccontarsi per l’ennesima volta. Ma io lotto e me la tengo stretta quella parola chiave e se la persona non la può sentire quel giorno, aspetto il giorno giusto per mettergliela davanti. Un po’ a sorpresa. Sono sempre parole della mente sensoriale. Ci vuole un po’ perché le persone diano credito a queste parole. Preferiscono le altre, anche se gli fanno male. E io, da buona ri-lettrice, ci riprovo. Prima o poi spero che l’ascolteranno.
Il disagio che prende alcuni padri semplici e ignoranti, quando sorprendono il figlio sempre intento a leggere, riflette il timore che il figlio possa essere troppo femminile, non abbastanza giovanotto, troppo delicato. Sono sempre le madri che proteggono il figlio da una educazione troppo spartana, che ammettono e tollerano la lettura di libri, o che lo proteggono e lo sostengono contro il padre.Tuttavia, se il mondo deve restare così com’è, se non deve cambiare, allora le preoccupazioni di questi padri sono giustificate: i lettori sono dei sovversivi. Peter Bichsel
Pratica di mindfulness: Centering meditation
© Nicoletta Cinotti 2019 Scrivere la mente.
Una anteprima: Scrivere la mente non è solo una vacanza: diventa un libro. Uscirà in autunno: aspetta la tua lettura!