
Ieri ho fatto un piccolo viaggio in una zona che non avevo mai frequentato. Una bellezza inaspettata: credevo di andare in una piatta pianura padana e mi sono trovata sulle colline del piacentino, morbidamente digradanti in una continua sfumatura di verde, giallo e oro.
Quella bellezza è stata una sorpresa: mi ha riempito di gioia; una felicità inaspettata, ricca come un regalo. L’apertura che ho sentito mi ha dato la misura di quanto l’aspettativa di conoscere già il panorama che avrei visto mi aveva annoiato. Mi sembrava di aver già visto tutto e invece era la mia mente che aveva deciso di sapere già tutto. In realtà non sapevo proprio niente. Il divario tra l’aspettativa di sapere già e la gioia della sorpresa è stata grande e un po’ scioccante. Mi ha fatto percepire cosa perdo tutte le volte in cui entro nelle cose pensando di sapere già come sono e a quanto questa aspettativa diminuisca la brillantezza della percezione e la pienezza della presenza. Come sarebbe se mi ricordassi – se ci ricordassimo – ogni giorno che non sappiamo davvero cosa ci aspetta? Come sarebbe se ogni cosa apparisse nella sua vera bellezza e non come cartolina o fotografia già fatta nella nostra mente? Come sarebbe se la realtà delle cose potesse rompere il velo, la nebbia, il torpore del “sapere già” e potessimo entrarci come saggi principianti?
Poi, al ritorno, mi sono persa e sono finita nella parte di Genova che volevo evitare. Anzi, ho fatto, inutilmente, un sacco di chilometri in più nel tentativo di evitarla e non ci sono riuscita. Anche quella è stata una sorpresa: non sapevo cosa avrei trovato e, in quel caso, non volevo vedere. Anche lì però la novità mi ha costretto ad essere totalmente presente, senza sconti. Sono tornata ad essere una saggia principiante che stavolta non era attirata dalla bellezza ma dal cambiamento. E ho capito che spesso, molto spesso, è per attutire il dolore delle sorprese negative che veliamo la nostra percezione, che ci riempiamo della convinzione di sapere già cosa stiamo per fare. Non ne vale la pena: le sorprese – negative e positive – non sono controllabili e più rimaniamo aperti alla possibilità di sorprenderci più rimaniamo vivi. Anzi, nel momento in cui siamo totalmente presenti è come se diventassimo vivi. Come se la morte non fosse più qualcosa davanti a noi ma qualcosa che ci lasciamo dietro di noi, perchè quella qualità di presenza è così piena che sfugge al dominio della morte: è solo vita. Una vita che percorriamo da saggi principianti: abbiamo la nostra storia alle spalle (e forse questo ci ha reso saggi) ma camminiamo nell’assoluta novità del momento presente.
La sorpresa non è altro che l’inizio di quella pienezza che chiamiamo gratitudine (…) Nell’attimo in cui ci sorprendiamo diamo un’occhiata alla gioia di cui la gratitudine è la porta. Anzi, nei momenti di sorpresa abbiamo già un piede in quella porta. C’è chi dice di non conoscere la gratitudine ma chi può dire di non conoscere la sorpresa? David Steindl Rast
Pratica di mindfulness: Io sono qui
© Nicoletta Cinotti 2018 Il protocollo MBSR