
Tempo verrà in cui, con esultanza, saluterai te stesso arrivato alla tua porta. Derek Walcott
Quando siamo neonati non sappiamo dare nome a ciò che proviamo. Sappiamo solo se è piacevole o spiacevole. Oppure sappiamo solo se è neutro. Poi, per imparare a dare nome a quello che ci succede, abbiamo due strade: la prima è quella di riconoscere l’emozioni delle persone che amiamo. Così il sorriso dei nostri genitori dentro di noi diventa una tiepida e rassicurante sensazione d’amore. E impariamo che quella sensazione è amore. Oppure riconosciamo la loro rabbia e impariamo ben presto che rabbia e paura camminano insieme. In questo apprendimento siamo aiutati dal fatto che tra noi e loro – i nostri genitori – ci sono pochi confini. Forse, almeno all’inizio, quasi nessuno. Così le emozioni che provano loro sono anche quelle che proviamo noi e solo con il tempo impariamo l’ebrezza di avere emozioni tutte nostre che loro non conoscono e che noi, invece, sappiamo.
Quanto tempo ci vuole per avere emozioni tutte nostre? Dipende. per alcune persone 18 mesi sono sufficienti. Per altre 18 anni non bastano. Dipende da quanto lasciamo liberi. Se lasciamo i nostri figli liberi, le emozioni prendono vita propria e impariamo a riconoscerle non solo perchè sono riflesse negli occhi degli altri ma anche perchè esploriamo il nostro mondo interno. E questo è un grande atto di autonomia: esplorare l’interno cresce insieme all’esplorare l’esterno. I tempi sono diversi. Se abbiamo avuto genitori che erano sempre in primo piano abbiamo fatto fatica a riconoscere che anche noi abbiamo un mondo interno e che dentro c’è un universo da scoprire altrettanto interessante di quello esterno. Da questi genitori sempre in primo piano è facile passare al considerare gli altri, quello che provano, quello che pensano, quello che fanno, sempre un po’ più importante di noi. Spegnere i riflettori puntati all’esterno, in questi casi, non è facile. Smettere di focalizzare l’attenzione fuori per portarla dentro può sembrare un rivoluzionario atto di ammutinamento. Invece è un semplice – e a volte tardivo – atto d’amore nei nostri confronti.
Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria. Derek Walcott
Pratica di mindfulness: Be water
© Nicoletta Cinotti Pratiche informali di ordinaria felicità
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