
Mi sorprende sempre la difficoltà che le persone hanno a individuare l’emozione che provano. Mi sorprende fino ad un certo punto perché ogni giorno vedo come i pensieri la fanno da padroni nel nostro panorama interiore. Così quando dobbiamo dare un nome a quello che proviamo, le emozioni finiscono per rimanere nascoste nei pensieri (tanto nascoste che non le sappiamo riconoscere) oppure nascoste nelle sensazioni fisiche. Quei fatidici sintomi psicosomatici che non trovano posto in medicina perché vengono considerati come qualcosa da non prendere tanto sul serio.
In realtà in entrambi i casi, sia quando c’è una proliferazione mentale che quando ci sono sintomi ipocondriaci, siamo di fronte ad emozioni che non sono state riconosciute. Per usare un termine che non molti amano, emozioni che non sono state validate, ossia non hanno ricevuto un nome.
Questo mancato “battesimo” delle nostre emozioni porta due conseguenze: un aumento dei pensieri e un aumento delle sensazioni fisiche non identificate (quelle che portano preoccupazione perché non le capiamo noi e nemmeno il medico). Così, malgrado molte persone vengano definite “emotive” in realtà quello che vedo ogni giorno è che facciamo di tutto per bandire le emozioni come se fossero la parte più terroristica della nostra psiche. Non è così: niente come un pensiero può spaventarci. Niente come un sintomo fisico può gettarci nell’ansia ma la colpa la diamo sempre a chi cerca, invece, solo di darci un’informazione utile: le nostre emozioni. Come mai tanto accanimento? perché identifichiamo l’emozione con l’impulsività e non riusciamo a distinguere tra l’emozione provata e il comportamento che ci spinge a fare. Non siamo obbligati ad agire un’emozione. Riconoscere un’emozione non vuol dire doverla agire. Vuol dire imparare ad accettarla. Altrimenti ci comportiamo come quei genitori che tengono i bambini sempre in punizione e poi si domandano come mai sono ribelli. Se non impariamo ad amare quello che proviamo, insegniamo alle nostre emozioni a diventare ribelli. Per questo meglio una goccia di reparenting al giorno che cento ragionamenti sul perché e sul percome!
Con le emozioni difficili utilizziamo tre regole disfunzionali: “la regola del non sentire”, “la regola del non vedere” e “la regola del non dire”*. Nella tradizione shintoista queste tre regole sono rappresentate da tre scimmie e in quel caso esprimono l’invito ad astenersi dal male. Nella versione attuale sembrano rappresentare un modo per evitare di soffrire: non funziona ma ci crediamo lo stesso. da Mindfulness ed emozioni
Pratica di mindfulness: Piacevole, spiacevole, neutro
© Nicoletta Cinotti 2022 Mindfulness e psicoterapia: formazione in reparenting