
Che cos’è il silenzio? La risposta a questa domanda non solo non è univoca e dipende da persona a persona, ma la stessa persona, nell’arco della sua vita, cambia più volte la sua risposta. Il silenzio del bambino non è lo stesso dell’adolescente o dell’adulto.
Diceva Sibilla Aleramo che il silenzio attende ed è la più fedele cosa che possa allacciare una vita. Per questo “via via che io crescevo, anch’esso cresceva”. Col passare degli anni, gli
interrogativi aumentano anziché diminuire. Le potenzialità del silenzio, anziché restringersi, si espandono.
Da piccoli non si può far a meno di interrogare il mondo. Secondo uno studio inglese, sotto i sei anni, nell’età prescolare, si rivolgono alla mamma e al papà circa 288 domande al giorno, in media 23 all’ora. A poco a poco, diventando adulti, si scopre che non c’è una risposta per tutto e che sono più le cose che non sappiamo di quelle che possiamo o potremo arrivare a sapere in
una vita. Per questo, un po’ alla volta, si smette di farsi domande.
Il silenzio invece pretende di essere interrogato, continuamente. Resta una possibilità aperta, un orizzonte che si sposta
insieme a noi, sempre presente e sempre irraggiungibile, una domanda che deve restare tale, secondo la bella definizione di George Didi-Huberman.
Ad ogni età vale la pena di ritrovare quella curiosità, fatta di insistenza e di incanto, che ci muove all’inizio della vita, animati dalla fiducia che ci sia sempre qualcosa di nuovo davanti a sé. Un po’ come quando si pronuncia il nome amato per la prima volta o si vede per la prima volta un luogo o si prova un’emozione mai sentita prima. Il silenzio è quel vuoto a cui tornare
per ritrovare parole sorgive, luoghi incontaminati e una nuova innocenza del sentire, insegna Giuseppe Ungaretti.
Quel vuoto che ciascuno interroga come può e come sa, passando dall’infantile perché? all’adulto come? attraversando l’irruente quando?
© Nicoletta Polla Mattiot
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