
C’è una storia zen che mi piace molto e che racconto spesso. Te la riassumo velocemente nel caso te la fossi persa. È la storia di una donna che, fuggendo dalle tigri che la inseguivano, cade in un burrone. Si salva rimanendo miracolosamente aggrappata ad un ramo per accorgersi che, sotto di lei, altre tigri la stavano aspettando e che un topolino aveva iniziato a rosicchiare il ramo a cui era precariamente aggrappata. A quel punto sente profumo di fragola e si accorge che ce ne sono alcune che spuntano dal dirupo; ne mangia una e, per un attimo, è pienamente felice.
Ieri, leggendo, ho trovato un’altra versione di questa storia. Stesso scenario. Lei aggrappata ad un ramo in precario equilibrio tra le tigri del passato e quelle del futuro, con un topolino che rosicchia l’unico punto fermo, che ben rappresenta il nostro precario presente. In quel momento – ad alta voce – esce la sua invocazione, “Ti prego Signore, aiutami”. Con sua sorpresa ode una risposta “Sei sicura di volere il mio aiuto?“, Si, risponde la donna sempre più speranzosa per quella inaspettata offerta. “Sei sicura di fidarti di me?” Certo, risponde la donna, ormai sempre più convinta che la salvezza sia possibile. “Allora, risponde la voce misteriosa, lascia il ramo a cui stai aggrappata e lasciati andare”. La donna ammutolisce e, dopo qualche attimo, sempre ad alta voce, riprende “C’è qualcun altro lassù che può darmi una mano?“.
Non ho potuto fare a meno di ridere. Mi sono venute in mente le indicazioni paradossali della Selvini Palazzolo o di Watzlavich (le indicazioni paradossali nella clinica sono quelle indicazioni che prescrivono di fare quello che si teme di più oppure prescrivono il sintomo). Servono per lasciar andare un comportamento disfunzionale al quale, per paura, siamo aggrappati. Moltissime volte mi è capitato di indicare una via d’uscita e di sentirmi rispondere che, proprio quella cosa, non era possibile farla. Oppure mi è capitato di ascoltare persone che passavano da un collega all’altro nella speranza di trovare qualcuno che gli dicesse di fare quello che volevano loro, anche se tutti gli avevano indicato un’altra soluzione. Perché la nostra fiducia ha un limite: ci fidiamo solo di quello che pensiamo noi. Ci fidiamo delle persone che confermano il nostro pensiero ma fidarsi di qualcuno che non conferma quello che pensiamo è come lasciare il ramo per la donna della storia che ti ho appena raccontato. Prima o poi quel ramo cadrà, oppure non sarà più in grado di rimanere aggrappata ma non è disponibile ad abbandonare quella che, al momento, le sembra la sua unica certezza. Ecco, spesso, molto spesso, siamo in quella situazione, sono in quella situazione: l’unica via d’uscita è accettare di lasciar andare. Accettare di cadere. Accettare – questo è il paradosso – qualcosa di inevitabile. Vogliamo cambiare ma non siamo disponibili a lasciar andare quell’unica certezza. Di cui conosciamo bene il limite ma la paura è più forte della fiducia.
Non era un uomo religioso, ma in quel momento ringraziò il cielo, dicendo ad alta voce: ‘C’è qualcosa in cielo che splende su di me’. Philip Roth, Pastorale americana
Pratica di mindfulness: La meditazione del fiume
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