
Se vendessi strategie di controllo avrei una grande lista d’acquirenti. Tutti vogliono controllare qualcosa. Rimanendo nel limite della legalità. Alcuni vogliono controllare la rabbia. Altri la paura, altri ancora il panico, la dipendenza da cibo o da sostanze. I più disperati vogliono controllare cosa fanno le persone che amano. Son disperati perché sono i primi che capiscono che la missione del controllo è una strada che conduce dritti e senza deviazioni verso l’infelicità.
Lo so perché amiamo tanto il controllo: perché nel momento (breve o lungo che sia) in cui riusciamo a controllare qualcosa ci sentiamo potenti, forti e vincenti. Ci si stringe la mandibola e anche il cuore ma quello appare un piccolo prezzo da pagare a fronte della grande vittoria che abbiamo appena ottenuto.
Il problema è quando il controllo finisce. Perché che prima o poi finisca è certo: come tutti gli atti innaturali ha una fine. Richiede sforzo, impegno, massima attenzione e prima o poi uno di questi tre ingredienti cede e va tutto a carte quarantotto. Allora, forti della sensazione di effimero successo di qualche altra volta in cui il controllo ha funzionato, riprendiamo la nostra dieta a base di sforzo, controllo e rilevatore di discrepanza. Perché il rilevatore di discrepanza – quello che ci fa misurare continuamente la distanza tra noi e la felicità – è fratello siamese del controllo. Sono come Giano bifronte: uno misura e l’altro controlla. Qualunque sia il verso che predomina bussa male. A volte malissimo.
Allora le persone arrivano, “bussano” alla mia porta e dichiarano pieni di speranza che vorrebbero riprendere il controllo della situazione o, almeno, il controllo della loro vita. Mi raccontano rapidamente tutti i disastri che suscita la perdita di controllo e come sarebbero felici se riuscissero nell’intento più assurdo del mondo: prendere una medicina che è peggiore del male che vogliono curare. Allora io sospendo qualunque commento e con lentezza cerco di fare tutt’altra strada: quella della padronanza. Quella che ha due lati: consapevolezza e accettazione. Perché se non accettiamo, non possiamo essere consapevoli. Poi il passo successivo è scegliere cosa fare, sapendo che l’errore è maestro d’apprendimento. A volte ci riesco. A volte no, perché la mia medicina è umile, vulnerabile e incerta e combatto con la gentilezza una forza che invece ci seduce. Abbiamo a disposizione solo pochi giorni per amare. Perché sprecarli a controllare? Perché quando controlleremo tutto saremo felici. Davvero?
Il poeta ha a disposizione ventisei lettere per scrivere. Ci vuole un limite all’amore. Jean-Michel Maulpoix
Pratica di mindfulness: Be water
© Nicoletta Cinotti 2021 Il protocollo di Mindful Self Compassion