Questa pagina è una ideale prosecuzione della pagina su “L’immagine di sé e il Sé reale: il carattere narcisista” e nasce dal desiderio di espandere sia la prospettiva diagnostica che quella caratterologica.
La diagnosi infatti viene spesso vissuta come una specie di fotografia mentre, a mio avviso è molto di più un film con una trama che ha uno svolgimento temporale, l’interazione di molti fattori e una serie di significativi cambiamenti. Avere una diagnosi è utile se la consideriamo in questa prospettiva. Ma, come una mappa non è il territorio, così una diagnosi non è una persona. Una persona è molto più e molto meglio della sua diagnosi.
Per approfondire queste riflessioni il narcisismo è, potremmo dire ironicamente, perfetto. Tutti infatti abbiamo qualche grado di elementi narcisistici perché, come abbiamo visto, il narcisismo è formato da elementi relazionali e culturali.
Gli aspetti culturali
La nostra cultura sottolinea e valorizza alcuni elementi narcisistici: la nostra attenzione ad uno standard elevato di prestazione, la competitività, il perfezionismo che alcune attività professionali richiedono, ci spingono a sostituire la realizzazione professionale al posto di quella umana, a sacrificare la nostra vita in nome del nostro personale ideale di successo. Questo è vero per molti di noi: non siamo narcisisti in senso stretto ma il dilemma narcisista diventa il risultato della nostra cultura orientata al miglioramento e al progresso. Molte persone piene di talento, ricchi di umanità e capacità rimangono intrappolate in questo dilemma che li spinge a passare molto tempo nella dimostrazione del proprio valore, anzichè nel piacere di essere vivi.
La ferita narcisistica
La ferita narcisistica è una offesa profonda al nostro sé reale che può arrivare, nei casi più gravi, a tagliare il contatto e la comprensione del sé reale in modo quasi totale. Questa ferita compromette la capacità espressiva autentica a favore di una specie di rappresentazione o recitazione. Essenzialmente il messaggio che si realizza nella ferita narcisistica è “non essere chi sei ma chi ho bisogno che tu sia. Quello che sei mi disturba, mi minaccia, mi delude. Cerca di essere come ti desidero e ti ameró”. Da un certo punto di vista tutte le difese caratteriali realizzano questa illusione: l’illusione che, se saremo diversi, se saremo perfetti saremo amati.
Ogni adattamento caratterologico comporta lo sviluppo di un falso Sé, utilizzato in maniera difensiva. Questa difesa struttura anche una modalità di relazione, perché nasce all’interno di una matrice relazionale. Ecco perché tutti noi abbiamo tratti narcisistici: perché nessuno di noi, per quanto sia stato amato “così com’è”, é immune dall’aver rinunciato a qualcosa di sé per essere amato di più.
Inoltre, come ha ben descritto Alice Miller, ne “Il dramma del bambino dotato”, a volte la risposta di adeguamento al desiderio dell’altro, nasce perché il bambino è molto – troppo – sensibile e coglie il desiderio della persona amata.
Un desiderio a cui ci adeguiamo silenziosamente
Un desiderio a cui si adegua silenziosamente, con l’intento di renderla felice. Così tratti orali e tratti narcisistici sono spesso strettamente intrecciati nella vita di tutti noi: perché realizzano il nostro desiderio romantico di amore. Nello stesso tempo, poiché cediamo una parte di noi per amore di un’altra persona, quella parte diventa “meccanica” o “meno umana” perché privata della comunicazione con il nostro Sé reale.
Ecco il titolo di questa pagina: “umanizzare” i tratti narcisistici significa restituire a noi stessi quella comprensione, compassione e valore che abbiamo ceduto per amore. Una restituzione che può avvenire più facilmente dall’interno, perché se avviene “per” un rapporto, rischia di attivarsi la stessa matrice relazionale da cui siamo stati strutturati. Ossia una ripetizione di piccoli sacrifici di noi per rinsaldare il legame: sacrificio al posto di gratitudine.
Ammirazione al posto di amore.
Il contatto sostitutivo
Il concetto di “contatto sostitutivo” è un geniale concetto reichiano che Lowen approfondisce attraverso il tema delle illusioni. Poichè l’armatura struttura una difesa contro il dolore primitivo che cerchiamo di evitare, ci conduce alla ricerca di contatti che siano sostitutivi. Cosa significa? Significa che il nostro vero impulso, la nostra vera ricerca di contatto ed amore – che è la spinta che sta dietro la nostra vita – è troppo pericolosa. Per non correre rischi, per non esporci nuovamente a quel dolore, cerchiamo un tipo di contatto con l’altro che ci dia qualcosa che assomiglia al nostro bisogno originario, senza mostrarlo.
Se abbiamo bisogno di amore, possiamo così cercare ammirazione, che offre una gratificazione senza rischi. Se abbiamo bisogno di comprensione, cerchiamo di diventare intelligenti, se abbiamo bisogno di libertà, cerchiamo di essere approvati, se abbiamo bisogno di carezze, cerchiamo sessualità E costruiamo così delle modalità relazionali sostitutive che non risolvono il bisogno primitivo ma ci danno un succedaneo, qualcosa che renda meno intollerabile la nostra fame.
Cedere a se stessi
Ecco perché la risposta deve nascere dall’interno: ossia dalla nostra disponibilità a cedere a se stessi e al proprio vero bisogno. Correndo il rischio di non trovare quello che cerchiamo dagli altri, abbiamo però la possibilità di incontrare noi stessi. Questo cedere, questa qualità di “arrendersi a se stessi” permette di trovare – in fine – quella pace di cui abbiamo bisogno. E’ la pace della libertà di esistere, così come siamo. Una libertà autorizzata da se stessi, non per diventare roccaforti inattaccabili ma per offrire, con la propria vulnerabilità, quell’apertura verso il mondo esterno che può realizzare anche il bisogno relazionale. Non è quindi un passare dal “fare tutto per gli altri” al “fare tutto per se stessi”. E’ piuttosto un offrirsi alla vita, tollerando che ci siano dei “si” e dei “no”. Restituendoci la piena dignità di ciò che siamo.
Magnificenza e vulnerabilità
Questo approccio alla realtà rappresenta il pieno apprezzamento della propria individualità e tratta emotivamente l’impatto con la realtà stessa, integrando la propria magnificenza e la propria vulnerabilità.Questa integrazione è il tentativo di riconciliare l’illusione della simbiosi con la realtà delle limitazioni e della differenziazione. Quando possiamo essere come un neonato, magnifici e vulnerabili insieme, non ci sono disordini del Sé. Ma quando ciò che siamo è troppo o troppo poco, troppo energetico o non abbastanza energetico, troppo sessuale o non abbastanza sessuale, troppo veloce o troppo lento, troppo stimolante o non stimolante a sufficienza, troppo indipendente o non abbastanza indipendente, allora non possiamo realizzarci: questa è la vera ferita narcisistica e il nostro sviluppo si arresta al punto in cui abbiamo bisogno di un rispecchiamento supportivo per crescere. Se ci rispecchiamo nell’esterno e decidiamo di rifiutare ciò che l’esterno non approva, finiremo per nascondere ciò che è stato rifiutato e cercheremo delle compensazioni, dei contatti sostitutivi.
Il percorso bioenergetico
Solo se torniamo alla realtà biologica della nostra esistenza fisica possiamo trovare la forza di rinunciare alla grandiosità del nostro falso Sè.” (La bioenergetica procede diversamente) espandendo la coscienza verso il basso, porta l’individuo più vicino all’inconscio. Nostro obiettivo non e di rendere cosciente l’inconscio ma di renderlo più familiare e meno spaventoso. Quando scendiamo fino a quella zona di confine in cui la coscienza del corpo tocca l’inconscio ci rendiamo conto che l’inconscio e’ la nostra forza mentre la coscienza e la nostra gloria. Percepiamo l’unita della vita e capiamo che il significato della vita e’ la vita stessa. ”
Un percorso che possiamo immaginare costruito attorno a cinque elementi:
- 1) Il grounding: questo lavoro significa ancorarsi nella propria esperienza corporea, lasciando scendere ciò che ci”tiene su”, per connetterci alla terra, alle nostre radici, attraverso il contatto con il respiro e con i piedi.
- 2) Il secondo passo riguarda l’apertura del bacino e del petto in modo che il flusso naturale dell’energia fisica possa essere percepito. Spesso significa lasciar scendere le spalle e le contrazioni di quel distretto portando ad una rivitalizzazione di quella parte del corpo, con i piccoli segnali di apertura del torace che l’accompagnano. Accanto a questo, una maggiore libertà dei movimenti del bacino garantisce una percezione del corpo più ampia. Moltissimi gli esercizi che possono permettere queste due aperture. Esercizi che beneficiano della semplice ripetizione, una ripetizione che gradualmente ammorbidisce la tensione, portando, talvolta, ad un senso di rilassamento che è vitalità che emerge.
- 3) Lo scioglimento delle tensioni del collo e l’apertura della voce: la capacità autoespressiva è fortemente limitata dalle tensioni della gola e del collo. Sciogliere e lasciar uscire il proprio suono sostiene la fiducia nella propria capacità e possibilità di esprimersi. Spesso la richiesta di lasciar uscire il suono del proprio respiro è avversata: troppo strana, maleducata, fastidiosa. Già le reazioni a questo invito gentile possono dirci come la persona vive la possibilità di esprimersi veramente.
- 4) La risonanza corporea: rispondere empaticamente, attraverso la propria risonanza corporea, all’esperienza corporea dell’altro, aiuta il processo di adesione al proprio Sé reale. In bioenergetica il cambiamento non è mai un cambiamento unidirezionale: così come il sorriso di un bambino esiste in direzione di qualcuno, anche il processo corporeo che la persona sperimenta risuona e attiva una risposta corporea nel terapeuta. Costruiamo, o meglio co-costruiamo il processo corporeo attraverso un flusso di microregolazioni interattive. Questa risonanza struttura l’esperienza dell’intimità, così fondamentale nel recupero della perdita narcisistica.
- 5)L’esperienza del movimento: insieme al grounding e alla risonanza, l’esperienza del movimento permette di riportare il contatto con la propria vulnerabilità e magnificenza. Umanizza la percezione corporea e apre alla completezza della relazione con l’altro, alla vitalità del piacere e al processo stesso della vita.
Le emozioni del processo terapeutico
Sono molte le emozioni che il processo terapeutico attiva, tutte curano l’illusione di poter fare tutto da solo. Se è vero che il cambiamento deve venire dall’interno, è altrettanto vero che l’illusione di poter fare tutto da solo – o la dannazione di fare tutto da solo – imprigiona in una ripetizione senza limite della trappola narcisistica. Dopo essere vissuto per anni senza muoversi, senza ricevere, senza chiedere, l’esperienza del piacere, del movimento, dell’intimità e, infine, dell’amore possono schiudersi “al rischio” di vivere.
La poesia
Le parole sono, come dice Lowen, una funzione della coscienza:”“L’impiego delle parole giuste è una funzione energetica perchè è una funzione della coscienza. E’ la consapevolezza dell’esatta corrispondenza fra una parola ( o una frase) e una sensazione, fra un’idea e un sentimento. Quando le parole sono connesse o combaciano con le sensazioni, il flusso energetico che ne risulta fa aumentare lo stato di eccitazione della mente e del corpo elevando il livello di coscienza e la messa a fuoco”(Lowen, 1975, 291) Le parole svolgono a livello individuale la stessa funzione che svolgono per la societa’. La storia viva di una persona e’ registrata nel corpo, ma la storia cosciente lo e’ nelle parole. Se manca la memoria delle esperienze mancano anche le parole per descriverle…..” Non tutte le parole sono così: lo sono quelle che nascono dalla nostra esperienza intima e profonda. ” L’affettività e il vissuto sono importanti perché senza di essi le parole sono vuote. Ma il vissuto da solo non basta. Occorre parlare ripetutamente dell’esperienza per sondarne tutte le sfumature di significato e per farla diventare oggettivamente reale nella coscienza” (Lowen, 1975, 287)” Questo è quello che avviene nelle poesie…
Qualche parola sull’anima (Wislawa Szymborska)
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.
Giorno dopo giorno,
anno dopo anno
possono passare senza di lei.
A volte
nidifica un po’ più a lungo
sole in estasi e paure dell’infanzia.
A volte solo nello stupore
dell’essere vecchi.
Di rado ci da una mano
in occupazioni faticose,
come spostare mobili,
portare valige
o percorrere le strade con scarpe strette.
Quando si compilano moduli
e si trita la carne
di regola ha il suo giorno libero.
Su mille nostre conversazioni
partecipa a una,
e anche questo non necessariamente,
poiché preferisce il silenzio.
Quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,
smonta di turno alla chetichella.
È schifiltosa:
non le piace vederci nella folla,
il nostro lottare per un vantaggio qualunque
e lo strepito degli affari la disgustano.
Gioia e tristezza
non sono per lei due sentimenti diversi.
E’ presente accanto a noi
solo quando essi sono uniti.
Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto.
Tra gli oggetti materiali
le piacciono gli orologi a pendolo
e gli specchi, che lavorano con zelo
anche quando nessuno guarda.
Non dice da dove viene
e quando sparirà di nuovo,
ma aspetta chiaramente simili domande.
Si direbbe che
così come lei a noi,
anche noi
siamo necessari a lei per qualcosa.
a cura di Nicoletta Cinotti
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